L’oro di Valle Giulia e le palline di vetro di Guanahani

Di Franco Scalzo

Noi eravamo quelli che se ci sbucciavamo il ginocchio, le prendevamo. Noi, che se c’erano le paste nel vassoio, dovevamo accontentarci di quella che era più vicina alla mano. Noi, che uscivamo dall’aula in cui avevamo discusso la tesi, ma non c’era nessuno lì ad aspettarci neppure per metterci una corona di prezzemolo in testa. Dovere. Tirava vento  e pioveva. Tornati a casa, una domanda, quasi di sguincio. Come é andata?. Risposta: tutto bene. Fine delle trasmissioni. 

Di tutte queste creature, figli incolpevoli di una guerra perduta, di madri obbligate a controllare che il norcino non barasse con la bilancia, e di padri fiaccati dal peso di una faticosa ricostruzione, comparve, il primo marzo del 1968 (la Cortellesi non era ancora nata) sulla scalinata di Valle Giulia a Roma, un’epica selezione: distanziati gli uni dagli altri, nella fissità che precede o che segue le vicissitudini del moto, come per mettersi in posa per una foto storica, i sassi già lanciati sparsi per terra, e le camionette della ‘Celere’ riprese di spalle che singhiozzano, avanti ed indietro, pregustando lo scatto.

Non si sa che fine abbia fatto la carrozzina che rotolava, ormai incustodita, sui ripidi gradini di Odessa, ma si capisce perché quelli di Valle Giulia abbiano avuto così poca ‘audience’ nonostante la loro capacità di rappresentare il significato ultimo della nostra Storia sia almeno pari a quella del corpicino nudo della bambina vietnamita braccata dal napalm o al salto all’indietro del miliziano colpito da Capa in sincrono coi franchisti, nel ’36.

E’ che, per la seconda volta, nell’arco di pochi anni, la Destra e la Sinistra, confluivano in un’inizitiva comune – due rigagnoli risicati, ma le proporzioni contano poco –  per significare che si era stanchi di un sistema completamente bloccato sulle clientele della  DC e sulla discriminazione dei giovani, ai quali era di fatto impedito di entrare nel mondo dei ‘grandi’ perché i ‘grandi’ intendevano risarcirsi per questa via del tempo  che  gli era stato pignorato dalla guerra: la puntina balbuziente che insiste sul disco incantato; come la pretesa, in una partita di calcio, di recuperarne due o tre  allo scoccare del ‘novatesimo’. 

La prima volta in cui qualcuno tentò, con troppo successo ( e ne pagò  il fio) di superare  la dicotomia tra Destra e Sinistra (che sono, al più, delle ingannevoli convenzioni) fu quando Mussolini incorporò, nel movimento che avrebbe poi preso il potere, le idealità del socialismo che boccheggiavano all’interno dell’ordinamento liberale, mitigandole però con la severa disciplina dello Stato Nazione.

L’episodio di Valle Giulia, sebbene sia – a mio sindacabile giudizio –  gravido di spunti e di suggerimenti su come impostare una ricerca sociologica relativamente alle inquietudini di quegli anni (il confitto generazionale, il femminismo nascente, le prove generali dell’austerity (eccetera, eccetera) è stato non la conseguenza di una presa d’atto (che implica la limpida consapevolezza delle cose che si fanno e si dicono) ma quella di aver visto attraverso il buco della serratura un Paese che si spogliava  per mostrarsi qual’era realmente, una colonia degli Stati Uniti e una falsa democrazia, dietro la cui facciata prosperava il verminaio dei servizi segreti federati con la CIA, mentre  uno dei tre poteri dello Stato, quello della Magistratura, si stava già attrezzando per diventare qualcosa di assai peggiore  del carrello stracarico di faldoni che va su e giù nei corridoi dei tribunali: il segno – diciamola tutta –  di  un’elefantiasi galoppante e di una perniciosa inconcludenza. 

Già allora si andavano delineando i connotati della casta: quella che avrebbe risposto solo a se stessa e che si sarebbe esercitata nell’applicare impunemente le manette ai polsi delle persone sbagliate (vedi il caso Tortora) o nel costruire, su mandato dei soliti terzi – il ‘Deep State’, lo Stato profondo che si nasconde negli scantinati, dove può tranquillamente interagire coi ‘quarti’ e coi ‘quinti’ che parlano un’altra lingua – delle tagliole giudiziarie studiate apposta per farvici cadere dentro gli anarchici, gente schiva, perciò  permeabile al sospetto di avere architettato – come si pensava dei primi cristiani – i più orrendi delitti, anche se scalcinati e zoppi tipo Valpreda. 

Ma ce n’era, e ce ne sarebbe stata, anche per i ‘fascisti’, che solo a pronunciarne il nome emanano suggestioni sinistre (il corrispettivo dell’orco chiamato a rapporto presso  l’infante che non vuole assopirsi) e addirittura per gli esponenti della Prima Repubblica allorché Washington ordinò di sgomberare il campo ( come fece coi Diem  in Vietnam) dai valvassori e dai valvassini recalcitranti e di sostituirli, ‘in primis’, con un partito comunista preventivamente adattato e modificato .

Nel ’68 già si capiva, ad averne la capacità: le avevano, e le hanno , quegli esserini che spuntarono come tante piccole aste su di un quaderno a quadretti nell’anfiteatro di Valle Giulia e che oggi, divenuti vecchie cassandre, affidano a watsapp il compito di annunciare la loro furiosa disperazione. Ma il messaggio, contenuto nel surrogato della bottiglia, finisce immancabilmente in qualche remota rientranza, ignorata dalla corrente, o sotto gli occhi di un cieco: categoria di persone che negli ultimi anni e negli ultimi mesi  ha avuto un incremento esplosivo. 

Da un fitto pulviscolo di indizi si capiva, ad esempio, che l’interesse economico, perseguito dall’Alta Banca, avrebbe finito per trasformare la missione della Politica in un mero trastullo ragionieristico e che i Poteri Forti, loro alleati, si sarebbero strenuamente impegnati nel rendere sempre più lasche le maglie della tradizione e della solidarietà che tengono insieme la società civile, privandola, per di più, anche dell’illusione di   potersi perpetuare attraverso l’organizzazione dello Stato, del quale – coinvolto nello stesso processo – rimane ormai  soltanto il prospetto esterno: la lugubre testimonianza di un fallimento annunciato, la facciata dei palazzi al centro di Berlino dopo il passaggio delle ‘fortezze volanti’.

E’ vietato, dunque, meravigliarsi se la scuola, disossata del merito e declassata a cassa di risonanza di tutte le ‘mode’ vidimate dalla TV, abbia cessato di esistere, e che gli insegnanti vi si aggirino dentro col tipico disagio avvertito dal prete spretato in una chiesa sconsacrata: tutto ciò è tributario del fatto che il Potere, nella conformazione  che esso ha assunto, senza più veli,  all’indomani della caduta del muro di Berlino (il capolinea di molte disavventure capitate al consorzio internazionale) non sa che farsene del buon cittadino mentre, per converso, stravede per il consumatore efficiente, specie se la risonanza magnetica ne certifica il pregio principale, quello di  essere un perfetto cretino.  

Sono, altresì, passibili di censura coloro che, a vario titolo (per il timore di eventuali ritorsioni o perché proprio non sanno neppure ricavare una somma dall’addizione di due addendi) continuano a strombazzare la loro incrollabile fiducia nell’opera della magistratura, senza accorgersi della centralità del ruolo che tale istituzione – messasi  spesso in rotta di collisione con le altre due e avendo in diverse occasioni suscitato il sospetto di essere proclive a mettere in atto un golpe strisciante, alla maniera delle elite – deve avere assunto per corrompere la società, come l’abbiamo sempre intesa, almeno da due secoli a questa parte, e trasformarla, per gli usi e i consumi consentiti ai Poteri Forti, in una babele fantasmagorica, dove non ci sono punti di riferimento,  neppure sul piano giudiziario, e neppure su quello morale, stante che gli innocenti vanno in galera al posto dei rei, che ci si accanisce sui deboli per non avere abbastanza forza da bruciare sui prepotenti, che ci si sente alla mercé di un’insicurezza strutturale, sistemica, concentrata.

I reduci di Valle Giulia, ai quali mi rammarico di non appartenere se non per un’inesorabile simpatia (è pressoché scontato che nel corso della vita si buchi  talvolta l’appuntamento con le occasioni) si lamentano del fatto di non avere degli eredi. Non ce ne sono.  Come debbo aver scritto da qualche parte, sempre su questa pagina,  il Potere è stato abile nell’incastratre tra noi, di quella generazione, e loro, delle generazioni successisve, una pausa, da dove poi la musica é uscita profondamente cambiata, un ponte smozzicato, sospeso sull’abisso, su cui non é più passato nessuno.

Anche ‘X Factor’, anche ‘l’isola dei famosi’, anche il panino di tre euro per  il quale si fanno proporzionalmente tre ore di fila sotto il freddo pungente lungo il marciapiedi che porta  da  McDonald’s, hanno contribuito: l’oro di Valle Giulia  scambiato per  qualche pallina di vetro. Tutti contenti – poveri i nostri ragazzi – come tutti quei piccoli indiani, a Guanahani.   

 
Torna in alto