Croce o croce: scegli!

Di Franco Scalzo


A differenza del vetusto titolare dello spaccio, del film “Non è un paese per vecchi”, l’elettore italiano non é stato obbligato da un tristo figuro sorto dal nulla a decidersi tra testa o croce, con quella fatale monetina schiacciata con un gesto perentorio sul banco, senza neppure sapere su cosa avrebbe dovuto scommettere.

Lui, nella versione riveduta e corretta dalla Meloni, in quel settembre del ’22, lo sapeva. La scelta era tra il PD che stava distruggendo l’Italia o l’Opposizione di destra, guidata da FdI, che si era fatta avanti garantendo che gliela avrebbe strappata di mano. “Spezzerò le ali del destino e ti avrò vicino”, ma ci fu anche la carica al galoppo del Settimo Cavalleria: qualcuno ha ancora la gloriosa frenesia di quegli zoccoli nelle orecchie. 

Ciò che l’elettore italiano non sapeva é che stava per scommettere con una moneta truccata il cui rovescio era la copia del dritto. Eppure, su queste pagine, l’avevamo pure avvertito, con una parabola in cui Maggioranza e Opposizione appaiono, in realtà, come l’ala destra e l’ala sinistra dello stesso aeroplano: che non potrebbe librarsi in volo sia che mancasse di entrambe le ali, sia nel caso che esse fossero, per conformazione, completamente diverse l’una dall’altra. 

Benché la prospettiva storica, perecepita e censita col metro delle contingenze, appaia come un grande mercato arabo pieno di cianfrusaglie messe lì alla rinfusa, oppure come un racconto dai ritmi troppo serrati, come uno sceneggiato di Netflix, c’è una logica severa che attraversa tutti i capitoli recenti della storia nazionale, a far data pressappoco da quando Moro era alla mercé dei Servizi fedeli agli Americani mentre  il signor Napolitano, l’uomo di tutte le brutte stagioni, volava negli USA per spiegare che il PCI, del quale rimaneva solo la livrea esterna, era già un’altra cosa e che si sarebbe fatto trovare pronto a governare per conto dell’UE e della NATO il giorno in cui la classe politica (formata da valvassori inaffidabili, quali Craxi, Spadolini e lo stesso Moro) che non era stata capace di scongiurare la iattura del “Compromesso Storico”, fosse uscita di scena. 

Ciò accadde puntualmente con l’attivazione da remoto, qualche anno dopo, di “Mani Pulite”, mediante il braccio giudiziario che mise fine ai fasti e ai nefasti della Prima Repubblica e levò dalla culla, assieme all’organismo geneticamente modificato, che era  venuto fuori  dalle spoglie mummificate del PCI, anche un partito, nuovo di zecca, “Forza Italia”, che si assunse, in solido coi propri “competitori” a mezzo servizio, il compito, ben poco gravoso, di ripristinare le geometrie dell’ordinamento democratico: divisi, com’era facilmente prevedibile, solo sulla titolarità del potere, ma indissolubilmente uniti sia nella fedeltà al Patto Atlantico che nell’officiare le sanguinose liturgie del regime lib-lab che privatizzava finanche lo Stato.

Se si parte da questo assunto – l’assoluta necessità, per i padroni della City e per i  loro omologhi americani, di avere in Italia un doppione, e di evitare che, cambiando le regole del gioco, lo status di colonia del nostro Paese potesse diminuire – si dovrebbe  capire come anche la vittoria del Centrodestra dell’anno scorso, piuttosto che rappresentare una svolta, favorita dalla radiosa pochezza degli ex comunisti e dei loro alleati, altro non sia se non un episodio della partita che si svolge tutta intera all’interno di un sistema, quello “democratico”, che assomiglia sempre di più ad una dittatura mascherata, e che si rifiuta di cadere nonostante il sessanta per cento degli Italiani, nel rimanere a casa al momento del voto, abbiano certificato, in modo perentorio, che non funziona. 

Proprio l’ambivalenza del voto costituisce la piu’ chiara dimostrazione di quanta vuota retorica si spalmi sull’atto di andare alle urne ( una matita, un lenzuolo di carta pieno zeppo di sigle, la cabina numero 3, la carta d’identità che viene esibita tra il cinque orizzontale e l’ otto verticale del cruciverba compilato dallo scrutatore annoiato) e cosa  esso significhi al di là del fatto che si rende indispensabile come unità di misura del consenso ma non obbliga il proprio destinatario a mantenere la parola data nel corso della campagna elettorale.

Farebbe specie se il Parlamento (scritto con l’iniziale maiuscola, ma non in segno di ossequio) legiferasse per estendere anche a quest’ambito il reato di truffa – che, invece,  si attaglia a chi ti dà della merda liofilizzata spacciandola per cacao – e la sorpresa sarebbe ancora maggiore per quanti ragionassero sull’ingannevole improprietà dell’espressione “repubblica parlamentare”, che definisce, almeno qui in Italia,  l’artifizio istituzionale in forza del quale, oltrepassato lo step delle elezioni, l’elettore non esercita più alcuna forma di controllo sulla condotta dell’eletto, ammesso, e non concesso, che  tale facoltà gli sia  accordata da quello speciale marchingegno elettorale – attualmente in vigore – che obbliga i concorrenti a mettersi insieme per formare una coalizione, e quindi a stemperare le proprie caratteristiche in qualcosa di anonimo, di indistinto, di sciapo, come zuppa ibridata col pan bagnato, che si colloca appena un passo indietro rispetto al nulla: esattamente ciò che richiedono i poteri forti domiciliati a Washington e a Bruxelles,  per i quali  il limite superiore di qualsiasi iniziativa politica è rappresentata dal minimo cabotaggio e, quindi, dal divieto di dar vita ad una progettualità che abbia una gittata maggiore della classica pistola a schizzo adoperata dal clown. 

Spiace, pertanto, constatare come molta gente, che ha votato per il Centrodestra, manifesti stupore per aver visto trasformarsi la pulzella della Garbatella, da un’erinni imbottita di anfetamine, nel testimonial del Mulino Bianco, teneramente abbarbicata alla vecchia quercia di Biden, ma la spiegazione secondo cui non ci si può presentare sul set di “Via col vento” con gli stessi vestiti indossati su quello di “Braveheart” e che dunque la variazione del ruolo, da passionaria dell’Opposizione a capo del Governo, ne comporti contestualmente un’altra sul terreno delle implicazioni estetiche, è di fatto una spiegazione che concerne, appunto, solo l’esteriorità di questo soggiorno del Centrodestra a palazzo Chigi, ma non dice nulla di come abbia disatteso in modo sostanziale il mandato degli elettori. E ciò è successo col mettersi (previsione facile, facile, che avrebbe potuto fare anche il mago Otelma, famoso per non azzeccarne mai una) in politica estera, sul tracciato dei Dem. Con la rinuncia al “blocco navale” – una chimera –  per non urtare la suscettibilità dell’UE, alla quale non entra in testa che, per la proprietà transitiva, se l’Italia appartiene all’Unione anche le sue coste ne fanno parte, e che, quindi, Bruxelles deve farsi carico di tutti i costi associati alla sua inazione nei riguardi dell’immigrazione clandestina: costi che, invece, per effetto dell’improbabile pateracchio siglato con le autorità di Tirana, graveranno sul contribuente italiano, già  matirizzato da un’infinità di balzelli. Con una manovra finanziaria che, nel ballare in modo disordinato tra proclami  e ripensamenti, ha messo nel mirino, forse per un riflesso condizionato del ministro Giorgetti, che vede solo i fabbricanti di tegami di Lumezzane, le specificazioni  più esposte del ceto medio – i medici e gli insegnanti – centrando nel contempo anche l’obiettivo di indebolire ancora di più la Sanità pubblica e la Scuola, che sono, tra i malati gravi di questo Paese, quelli più vicini al portone d’ingresso dell’aldilà.

Si direbbe, al termine di questo sommario, peraltro anche parziale, che per l’Italiano non ci sia né speranza, né scampo. Dipende – credo – da quale sarà il suo atteggiamento quando la prossima volta gli sarà presentata la solita moneta con le due facce uguali e verrà capziosamente esortato a scegliere tra testa e croce. Se si rifiuterà di scegliere,  comincerà un’altra storia.

 
Torna in alto