Le rivolte popolari nell’America Latina indicano l’implosione del modello neoliberale

Non è difficile capire che le rivolte popolari, esplose nei paesi dell'America Latina, dal Cile all'Ecuador, all'Honduras, all’Argentina, rappresentano il suono delle campane a morto per le teorie del neoliberismo a cui erano dedicati tutti i governi del continente, con l'eccezione del Venezuela, di Cuba, Nicaragua e Bolivia.

Dopo 46 anni di imposizione di queste teorie da parte delle oligarchie neoliberali sostenute dalle giunte militari, con il triplice avallo della CIA / di Kissinger / dei Chicago Boys, il sistema è arrivato alla sua implosione.

Da ogni parte del mondo, e non solo in America Latina, fa acqua il modello neoliberista. 

Indubbiamente il paese che per primo ha sperimentato la gestione neoliberista è stato il Cile, già dagli anni del governo di Pinochet e questo paese ha rappresentato per molti anni un vanto ed un modello di successo (apparente) per tutti gli altri paesi dell'America Latina.

Oggi il Cile di Sebastian Piñera è un paese in preda a rivolte di massa contro la giunta di governo provocando uno stato d'assedio che ha determinato la paralisi del sistema paese ed una crisi umanitaria da cui non si vede l'uscita se non con le dimissioni del governo.

L'intossicazione mediatica della propaganda neoliberista del sistema cileno, presentato come modello per gli altri, è durata quasi mezzo secolo ed oggi si ritorce contro i suoi propagandisti.

Mr. John Authers - un commentatore del Financial Times - ha commentato a Bloomberg che "la violenza in Cile porta un messaggio preoccupante per il mondo" mentre si verifica in "uno dei paesi più prosperi dell'America Latina" il che suggerisce come una situazione simile possa verificarsi facilmente ovunque ".

Le riforme neoliberali avevano fatto del Cile un laboratorio di economia privatizzata che aveva investito tutti settori, dal sistema pensionistico a quello sanitario, dei trasporti, dell'acqua pubblica privatizzata, ecc.. con l'inevitabile conseguenza di creare una ristretta minoranza di privilegiati che godono dei proventi delle rendite in contrasto con la massa di persone, anche della classe media, cadute in miseria.

Una situazione molto simile a quella dell'Argentina dove le riforme di Mauricio Macri, il pupazzo degli USA e del FMI, dopo aver svenduto le risorse del paese ai potentati finanziari, hanno provocato una reazione di ripudio popolare ed all'elezione dei neoperonisti Alberto Fernandez e Cristina Kirchner.

Analoghe le situazioni nell' Ecuador di Lenin Moreno e nell' Honduras di Juan Orlando Hernández, dove il governo golpista si trova costretto alla più dura repressione dei moti di piazza. 

Il sistema neoliberista si difende dalle rivolte popolari utilizzando i vecchi metodi della repressione, autoblindo nelle strade, polizia che spara ad alzo zero su dimostranti, "toque de queda" (stato d'assedio) e qualche improvvida concessione con ritiro di provvedimenti di rincaro dei prezzi del trasporto (in Cile) e del carburante (Ecuador) ma questo non basta a placare l'ira delle masse in rivolta. La novità di queste rivolte è quella che i protagonisti sono in maggioranza i giovani, con grande partecipazione di donne, che non hanno paura di scendere in piazza ed alzare barricate.

Le masse che scendono in piazza in America Latina non si accontentano più di qualche aggiustamento dei prezzi ma, avendo acquisito un livello di coscienza sociale inedito rispetto al passato, esigono un cambiamento radicale verso il superamento del sistema del capitalismo finanziario.

Quello che i media non dicono è che si fa strada una spinta rivoluzionaria ed anticapitalista tesa al superamento del modello neoliberista, nel contesto dell’edificazione di un nuovo ordine sociale e nazionale.

Pertanto l'effetto internazionale di queste rivolte sarà un crollo dei regimi satelliti degli USA e la formazione di un sistema multipolare, riflesso della crisi dell'egemonia del modello neoliberale ma anche dell’imperialismo nordamericano.

 


Editoriale

 

I diritti civili

di Adriano Tilgher

Si fa un gran parlare, in questi tempi, di diritti civili e la mia sensazione è che pochi fra quelli che ne parlano sappiano esattamente cosa siano questi diritti civili, che sul piano della sinistra hanno letteralmente soppiantato i diritti sociali che sono scomparsi dal dibattito politico, nonostante siano totalmente sotto attacco. Guardo raramente e con difficoltà i dibattiti televisivi perché sento solamente banalità per lo più insulse, prive di riscontri reali e soprattutto completamente estranei alla realtà e alla gravità dei problemi che stiamo affrontando come Italiani.

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La Spina nel Fianco

 

Professor Odal

5 marzo 1965, muore al Cairo, Omar Amin, militare, politico, filosofo ed esoterista tedesco naturalizzato egiziano, amico di Renè Guenon e di Savriti Devi. Omar Amin, nasce in Germania a Karbow-Vietlübbe, un piccolo comune del Meclemburgo-Pomerania, il 25 gennaio 1902, con il nome di Johann Jakob von Leers. Studiò nelle università di Kiel, Berlino e Rostock, laureandosi in giurisprudenza. Si dedicò soprattutto a studi storici e linguistici, come la slavistica. Divenne un poliglotta, imparò italiano, russo polacco, ungherese arabo e giapponese; scriveva correntemente in latino, ma anche nello yiddish degli ebrei aschenaziti dell'Est Europa. Ernst Jünger (1895-1998) lo definì “un genio linguistico”. Nel mondo intellettuale tedesco von Leers era noto con l'appellativo, "professor", il professore,  anche in virtù della cattedra universitaria presso l'università di Jena.

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