Il tradimento di Lenin

Ci sono poche cose dolorose. Il tradimento è una di queste. Il tradimento di una persona di cui ti fidi è quello peggiore. Se poi il traditore è un politico, che tante speranze aveva suscitato, ed il tradito è il suo popolo è peggio di tutto. La tristezza per quel popolo, anche se non gli appartieni in prima persona, ha la forza di schiacciarti.

È il caso di Lenin Moreno e del popolo ecuadoregno. Lui, l'uomo che Correa aveva scelto per portare avanti la Revolucion Ciudadana, sta facendo tornare il suo paese indietro di 20 anni. Per intenderci quando il paese sudamericano rinunciò alla propria moneta nazionale per abbracciare papa dollaro. Il mucchio di macchiette a cui Moreno ha dato in mano il potere sembrano usciti dai festini che negli anni 90 e nei primi duemila animavano il Palazzo Presidenziale conditi con prostitute, diplomatici e spie statunitensi che governano il paese adesso come allora. Moreno ha riportato l’Ecuador al sottosviluppo, e lo sta riconsegnando a quei poteri economici ed internazionali pronti a spartirsi il piccolo ma appetitoso piatto rappresentato dalle esportazioni del petrolio, della frutta, dei gamberetti, dei minerali, dei fiori e di quant'altro quel paese produce.

La prima vittima del nuovo corso ecuadoregno è stato il vicepresidente Jorge Glas, vicepresidente di Lenin Moreno ed ex vicepresidente di Correa. A seguito di un arresto illegale è stato irregolarmente spodestato dalla carica elettiva di vicepresidente, grazie ad un’alleanza tra destra filo-americana e parte della "sinistra" (quella che ha accoltellato Correa e sta con Moreno). Glas è stato portato in un carcere di massima sicurezza, noto per il non controllare i reclusi, senza acqua corrente, né servizi igienici, né riscaldamento, ma soprattutto con criminali comuni e senza scorta, né protezione. Un ex Vicepresidente, con segreti di Stato e informazioni strategiche nazionali non può stare in un carcere comune senza protezione. Glas, al momento, è oltre i 30 giorni di sciopero della fame per protestare contro la sua situazione. Ma l'epurazione è continuata con Ricardo Patiño (il ministro della rinegoziazione del debito, dell’espulsione dell’Ambasciatrice statunitense, dell’asilo politico ad Assange, etc.) che è ora accusato di terrorismo per aver animato una manifestazione davanti al carcere di Glas. Si è passati poi a Fernando Alvarado, ex ministro della comunicazione, costretto a fuggire in un altro paese perché accusato di aver realizzato alcuni contratti o spese non necessarie mentre era ministro. Solo che l’accusa è arrivata solo dopo che Alvarado si è rifiutato di continuare a lavorare per il Governo di Moreno e si era schierato nettamente dalla parte di Correa. Si potrebbe andare avanti ma più chiare di qualunque elenco risultano le parole della dichiarazione dell'attuale Ministro Michelena: “Tutti gli ex funzionari, sia di rango medio che di rango alto, del precedente Governo di Correa non potranno lasciare il paese e si ricorrerà all’utilizzo straordinario della prigione preventiva”.

Correa intanto è vittima di più di 15 procedimenti giudiziari che, oltre a non avere nessuna base giuridica, sfuggono alla semplice logica. Un esempio su tutti? È accusato di aver sovra-indebitato il paese. Proprio lui che il debito decise di rinegoziarlo e quindi in pratica diminuirlo. 

Fa male scoprire che uno dei paesi che con il tempo erano diventati un baluardo contro le ingerenze statunitensi in Sud Latina sia tornato all'ovile a stelle e strisce. Ma sopratutto sono notizie che devono inquietare Diaz-Canel a Cuba, Ortega in Nicaragua, Maduro in Venezuela, Morales in Bolivia e adesso anche Obrador in Messico. Se i filo-americani sono tornati al potere (per giunta tramite regolari elezioni e supportati da un ignaro Correa) in un paese dove una rivoluzione come quella Ciudadana aveva attecchito così bene bisogna immaginare che possa succedere domani ovunque. Quei leader devono stare attenti a che un altro Lenin Moreno non stia crescendo nelle ombre alle loro spalle.


Editoriale

 

Ricostruire l'unità nazionale

di Adriano Tilgher

Siamo alle solite. In Italia siamo troppo occupati ad affrontare temi marginali o impostici da altre nazioni per renderci conto della grave situazione in cui versa la nostra nazione. Purtroppo tutto questo accade perché a nessuno dei cosiddetti politici, né alle istituzioni interessa nulla dell’Italia; basti pensare alla scomparsa in tutte le scuole di ogni ordine e grado della storia, della grande cultura classica ed umanistica, base e fondamento sia del nostro percorso unitario che della nostra profonda identità.

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La Spina nel Fianco

 

L'ethos del cameratismo

1944 il poeta, soldato, (e bisessuale) Robert Graves, (1895 -1985) dà alle stampe il suo romanzo più famoso, "Il vello d'oro”, che parla fra altre cose, della guerra dei sessi nella mitologia Greca (successivamente ereditata dai Romani). Graves dipinge il "litigio" fra Zeus ed Era, più che come una satira sui problemi domestici delle famiglie greche, come un conflitto fra sistemi sociali inconciliabili. Nel descrivere il panteon greco l'autore narra dello scontro fra le divinità femminili dei popoli mediterranei guidate da Madre Gea e gli dei del pantheon maschile, guidati da Zeus arrivati dal nord con gli invasori achei, che si sono fatti largo a spallate nella Grecia arcaica e matriarcale. Ad Olimpia cittadina del Peloponneso occidentale, che ha dato nome alle "Olimpiadi" dove sorgeva il tempio di Gea, più venerato di tutta la Grecia, un paio di millenni prima dell’"era dell’Uomo", pare si sia tenuta una sorta di sacro G20, un super vertice religioso con lo scopo di raggiungere una pacificazione. Da un lato, le diverse manifestazioni della triplice Dea, con i loro riti della fertilità, ed un certo gusto per i sacrifici umani, dall’altro gli dei guerrieri venuti dal nord, che erano usi tenere le donne alla catena, in cielo come in terra. Ma sarà una pace fittizia, la guerra metafisica, non finirà mai, e giunge fino a noi alimentata dal tentativo del nuovo ordine mondiale di uniformare, e quindi annullare ogni diversità di genere.

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