Ho scritto, ormai quindici anni fa, un breve ricordo di Domenico (Mimmo) Pilolli, che di mattina di un giorno qualunque, illuso di superare il principio di gravità, quel peso che pesa e tende verso il basso, spiccò il volo oltre il davanzale della finestra, sesto o settimo piano di un palazzone del quartiere africano, là dove scorre l’Aniene. Forse – e io ne sono convinto – anch’egli credeva essere le nostre scapole ali rattrappite chè tali divennero quando fummo dimentichi di essere eredi e d’aquile e falchi oppure di semplici pettirossi o solitari passeri, di cui poetò il gobbo di Recanati.