I bulletti delle scuole: l' istinto al potere

Alcuni mesi fa chi scrive chiese a una ragazza della quarta ragioneria, già due volte bocciata, come procedessero gli studi. Rispose che tutto andava benissimo, poiché “le prof. hanno capito chi comanda.” Sarà per questo che non ci stupisce l’ondata di violenza abbattutasi negli ultimi mesi sugli insegnanti. Nessuno stupore, nessuna indignazione a comando. Solo le gonne strappate di migliaia di vestali meravigliate. Ma come, pensano, si ribellano proprio a noi, tanto amichevoli, tolleranti, permissivi/e, democratici!

L’autorità è stata contestata, abolita, messa nel dimenticatoio delle cose vecchie delle quali liberarsi. Vietato vietare. Poi c’è un deserto di valori e principi. L’unica verità è l’assenza della verità, il soggettivismo estremo, ognuno è legge a se stesso. Proprio i docenti, da diversi decenni, si fanno interpreti dei tanti luoghi comuni della modernità. Sono stati gli insegnanti i primi responsabili del disastro.

Poi c’è la perdita del padre, simbolo dell’autorità: è stato abolito il freno, ciò che trattiene, indica la via, pronuncia i no che segnano il cammino. Infine, la rimozione forzata dell’aggressività naturale, specie quella dei giovani maschi. Tolto l’esempio e il limite paterno, messe da parte le figure maschili di riferimento anche nella scuola, sempre più in mano a donne,  ai ragazzi è stato imposto di vergognarsi di se stessi. Potenziali stupratori, violenti, malvagi, sono stati decostruiti. 

Gli episodi di questi mesi sono stati posti in essere soprattutto da giovani maschi spesso trattati dalle insegnanti (diciamo la verità impopolare) peggio delle loro compagne, più conformiste, più inclini allo studio regolare, a credere nelle nuove verità preconfezionate. E’ la differenza negata dell’universo maschile rispetto a quello femminile, il rancido retrogusto dell’uguaglianza ideologica imposta. La scuola è specchio della società e tutto ciò che è istinto maschile viene ora represso, criminalizzato.

Altro problema capitale è l’esibizionismo di massa. Attraverso i social media, tutti filmano, postano, fotografano. Nessuna riflessione, tanto meno riserbo. Non è un caso se la maggior parte degli episodi di teppismo a carico dei docenti è venuto alla luce via Facebook o Instagram.  Molti insegnati si sono guardati bene dal denunciare. Il silenzio è il pegno per far parte senza problemi del gruppo. No, i docenti non devono far parte del gruppo: sono il secondo tangibile gradino della gerarchia con cui si viene a contatto.

Di suo, il sistema, esaurite le smanie rivoluzionarie, è ripiegato nella concezione della scuola come azienda. Obiettivo della scuola non è educare, ma fornire diplomi e lauree. Troppi bocciati uguale meno investimenti, il preside è un manager che risponde agli azionisti ministeriali, non il capo di un gruppo interdisciplinare di educatori.

Ulteriore elemento di perplessità è la promessa di punizioni esemplari per i teppisti. Giusto, giustissimo ripristinare la responsabilità diretta e personale. Dovranno pagare il conto più salato dei ragazzi la cui colpa principale è di vivere secondo istinto in quanto nessuno – né il padre, né tanto meno gli insegnanti e l’intero mondo esterno- ha proposto e se necessario imposto modelli diversi? I giovani hanno un fiuto eccezionale per scoprire insegnanti ignoranti, paurosi, interessati più di loro al suono della campanella. Stiamo pur certi che, in maggioranza, i docenti presi di mira non sono i più bravi e autorevoli.

I giovani sono il punto più basso, perché più fragile e privo di modelli, della regressione generale, ma non ne sono i responsabili. Essi esprimono la nostra cattiva coscienza: sono come noi li abbiamo voluti e cresciuti. L’aggressività rimossa e riemersa nella violenza è frutto dell’uguaglianza altrettanto distorta, ricacciata nell’inconscio perché espulsa dalla coscienza. 

Abbiamo rinunciato a educare, vi è orrore a punire, chiediamo sempre meno ai nostri giovani perché sempre meno sappiamo dare. Distrutto l’archetipo del padre, criminalizzato il maschile, al potere non è andata la fantasia, ma l’istinto più basso, volgare, incontrollato. E’ il momento della punizione, ovvio, ma non cambierà nulla se non torneranno in cattedra dei maestri.


Editoriale

 

Possiamo farlo

di Adriano Tilgher

La situazione sta evolvendo in segno positivo. Se osserviamo con attenzione le cose che accadono attorno a noi, ci rendiamo conto di quanto sia falsa, inutile e depistante la presunta realtà che ci raccontano i media tutti (o quasi) e quanto si stia risvegliando il popolo italiano. Basta un po’ di spirito di osservazione. Iniziano ad essere tante le persone che si sentono in dovere di esprimere il proprio dissenso, a dare la giusta lettura degli eventi, a parlare con linguaggi che sembravano spenti, perduti. Strani simbolismi appaiono anche dalle stanze ufficiali. Cosa fino a ieri impensabile. Qualcosa sta cambiando.

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La Spina nel Fianco

 

Comandante

13 dicembre 1942, il motopeschereccio armato “Cefalo”, di stanza presso la base di "La Galite” in Tunisia, di ritorno da una incursione nel porto di “Bona”, in Algeria, viene attaccato da uno Spitfire inglese, Durante il mitragliamento, vengono colpiti a morte numerosi membri dell'equipaggio, fra cui in comandante. Qui finisce la vita terrena di Salvatore Todaro, pluridecorato Comandante della nostra marina Militare.

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