I giornaloni, le Fosse Ardeatine e Meloni

Ha scritto Marcello Veneziani che l’esecutivo di Giorgia Meloni dovrebbe iniziare a governare seguendo la sua agenda e non quella dettata dall’opposizione. E, invece, Nostra Signora della Garbatella continua a inseguire Repubblica, La Stampa e i loro mandanti (Pd in primis), dimenticando quanto promesso agli elettori prima del voto di settembre, che l’ha portata a Palazzo Chigi a furor di popolo (meglio: di quella piccolissima porzione di popolo che si è recata alle urne).

Così, anziché dare un bel segnale per quanto riguarda, ad esempio, la sanatoria delle cartelle esattoriali di Equitalia Riscossione, per le quali si è disegnata una nuova, timida rottamazione, che suona come una sonora fregatura per chi sperava in una consistente riduzione di quanto dovuto ai vampiri del Fisco, Giorgia nostra spiega al mondo e ai suoi avversari di aver ricucito con Macron, dopo lo strappo dovuto al mancato invito all’Eliseo, per la cena con Zelensky. E noi che ci aspettavamo una leader di destra che prendesse le distanze da un presidente come Macron, mera espressione dei potentati economico-finanziari e bancari mondiali…

Per non farsi mancare niente, poi, Meloni ha voluto commemorare la strage delle Fosse Ardeatine, passaggio ineludibile per qualsiasi Presidente della Repubblica o Capo del governo dell’Italia antifascista. E, nel comunicato ufficiale, ha sottolineato che “la strage ha segnato una delle ferite più profonde e dolorose inferte alla nostra comunità nazionale: 335 innocenti massacrati solo perché italiani”. Apriti cielo: parole come queste avrebbero potuto scriverle Draghi o Prodi, che hanno fatto tutti gli esami di antifascismo, ma non la Meloni, sempre in odore – a sentire i giornaloni proni al Pd – di contiguità con i postfascisti. Così, l’Associazione dei Partigiani, il Pd, Repubblica e La Stampa sono insorti dicendo che i fucilati delle Fosse Ardeatine furono scelti “perché italiani e antifascisti”. E su questo sono andati avanti per due o tre giorni, con polemiche di cui non importa nulla a nessuno. Ma la premier ha perso tempo a replicare, a precisare, a giustificarsi.

Ecco, riteniamo che, davvero, sia giunto il momento di dare una svolta, di cambiare modo di governare oppure sarà stato totalmente inutile, per il centrodestra, vincere le elezioni dello scorso settembre: Meloni e i suoi ministri devono lavorare per gli italiani, varando provvedimenti che non piaceranno alla sinistra e ai tanti fiancheggiatori che ha nella carta stampata, ma che sono quelli promessi agli elettori. Pensiamo, ad esempio, a una vera sanatoria fiscale a una reale riforma del Fisco, con tanto di flat tax. Il fascismo, l’antifascismo e temi di questo tipo – nel 2023 – interessano soltanto a chi vuole alzare polveroni, per non far governare chi ha vinto le elezioni. E la sinistra, in questo, è maestra: lo ha fatto per decenni con Berlusconi, attaccato per le sue serate private, grazie anche alla complicità di magistrati che hanno speso milioni di soldi pubblici, per inchieste, poi, finite nel nulla.

Guardi avanti, Giorgia Meloni, e metta sul tavolo delle priorità non le famiglie gay – come vorrebbero Schlein e compagnia – ma gli impegni presi con gli italiani in campagna elettorale: soltanto così potrà garantirsi, tra cinque anni, un nuovo successo, che eviti il ritorno dei servi di Bruxelles e dei loro complici.

 

 

Immagine: www.radiopopolare.it


Editoriale

 

Ricostruire l'unità nazionale

di Adriano Tilgher

Siamo alle solite. In Italia siamo troppo occupati ad affrontare temi marginali o impostici da altre nazioni per renderci conto della grave situazione in cui versa la nostra nazione. Purtroppo tutto questo accade perché a nessuno dei cosiddetti politici, né alle istituzioni interessa nulla dell’Italia; basti pensare alla scomparsa in tutte le scuole di ogni ordine e grado della storia, della grande cultura classica ed umanistica, base e fondamento sia del nostro percorso unitario che della nostra profonda identità.

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La Spina nel Fianco

 

L'ethos del cameratismo

1944 il poeta, soldato, (e bisessuale) Robert Graves, (1895 -1985) dà alle stampe il suo romanzo più famoso, "Il vello d'oro”, che parla fra altre cose, della guerra dei sessi nella mitologia Greca (successivamente ereditata dai Romani). Graves dipinge il "litigio" fra Zeus ed Era, più che come una satira sui problemi domestici delle famiglie greche, come un conflitto fra sistemi sociali inconciliabili. Nel descrivere il panteon greco l'autore narra dello scontro fra le divinità femminili dei popoli mediterranei guidate da Madre Gea e gli dei del pantheon maschile, guidati da Zeus arrivati dal nord con gli invasori achei, che si sono fatti largo a spallate nella Grecia arcaica e matriarcale. Ad Olimpia cittadina del Peloponneso occidentale, che ha dato nome alle "Olimpiadi" dove sorgeva il tempio di Gea, più venerato di tutta la Grecia, un paio di millenni prima dell’"era dell’Uomo", pare si sia tenuta una sorta di sacro G20, un super vertice religioso con lo scopo di raggiungere una pacificazione. Da un lato, le diverse manifestazioni della triplice Dea, con i loro riti della fertilità, ed un certo gusto per i sacrifici umani, dall’altro gli dei guerrieri venuti dal nord, che erano usi tenere le donne alla catena, in cielo come in terra. Ma sarà una pace fittizia, la guerra metafisica, non finirà mai, e giunge fino a noi alimentata dal tentativo del nuovo ordine mondiale di uniformare, e quindi annullare ogni diversità di genere.

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