La campagna elettorale che non c’è

Le televisioni, le radio e i giornali ci “bombardano” quotidianamente con interviste ai ridicoli leader di partito, alle mezze figure e alle figurine. E ci spiegano che sono praticamente costretti a farlo, perché siamo in campagna elettorale, visto che il 25 settembre si andrà al voto, per scegliere il nuovo Parlamento, e dunque è giusto riuscire a capire le idee e i programmi dei diversi schieramenti politici. Risultato: non si capisce chi vuole far cosa, semplicemente perché nessuno dice nulla di concreto, nessuno ha davvero un’idea.

Così, ci si avvia verso l’appuntamento con le urne, ascoltando Enrico Letta, che parla addirittura di una minaccia per la tenuta democratica del Paese, se il centrodestra otterrà la maggioranza in Parlamento. Sì, perché Giorgia Meloni, a sentire il segretario del Pd, è una pericolosa erede del fascismo; mente sapendo di mentire, Letta nipote, perché la signora Meloni non solo non ha mai avuto niente a che fare col fascismo o con i suoi eredi, ma, pur di vincere le prossime elezioni (fatto che, comunque, non la porterà a Palazzo Chigi), si è già offerta ai “padroni del vapore”, sposando la cosiddetta Agenda Draghi e inchinandosi ai dettami di Washington.

Ascoltare un’intervista di Meloni, Renzi o Calenda, in definitiva, è sostanzialmente la stessa cosa: cambiano le facce, le voci, ma non i contenuti. Il loro faro era o è diventato Mario Draghi. Stesso discorso per Silvio Berlusconi e Antonio Tajani, presidente e vice di Forza Italia, che ripetono all’infinito, come dischi rotti, che la presenza degli azzurri nella coalizione di centrodestra garantisce la fedeltà all’Unione Europea. Come se questo fosse un vanto e non un’onta da cancellare in fretta, viste le vessazioni e i ricatti a cui Bruxelles sottopone, da sempre, il nostro Paese.

La speranza, poi, di avere in Matteo Salvini una voce fuori dal coro, capace di imprimere una svolta vera alle politiche del centrodestra, è ormai definitivamente tramontata. Salvini, purtroppo, è in confusione da due anni, da quando staccò improvvidamente la spina al primo governo Conte, in virtù dei sondaggi che accreditavano la Lega intorno al 30 per cento (un po’ come Fratelli d’Italia oggi) e della pretesa di andare a votare. Sappiamo tutti come finì e, da allora, Salvini non si è più ripreso: dice una stupidaggine al giorno e propone temi vecchi e non più attuali (tranne la pace fiscale), a partire dalla lotta ai clandestini. E non è certo un caso se la Lega, due anni fa indicata appunto vicino al 30%, oggi è stimata, nelle previsioni più ottimistiche, intorno al 15.

Ecco, questo è, più o meno, il quadro che abbiamo davanti. Ed è davvero azzardato, come fanno giornali, radio e tv, parlare di “campagna elettorale”: questa è la fiera delle banalità, altro che un confronto tra le idee delle diverse forze politiche, cosa che dovrebbe essere una campagna elettorale. Gli scontri delle tribune elettorali di una volta (un Berlinguer contro Piccoli, un Almirante contro Pajetta o altre sfide di questo tenore) sono soltanto un ricordo: qui c’è il nulla contro il nulla. E, poiché la matematica non è un’opinione, finirà con il nulla: zero per zero fa zero.

Chi si agita, chi si sente già ministro di un futuro Governo a guida Meloni, chi ipotizza per sé o per un amico una poltrona importante in Rai o in qualche Ministero, perché “amico di Giorgia da una vita”, si rilassi: dopo il 25 settembre, cambierà poco, molto poco. Mario Draghi resterà a Palazzo Chigi e, al più, saranno diversi (e magari di altri colori) i peones che, in Parlamento, voteranno come pecore i suoi scellerati provvedimenti. E nei posti che contano ci saranno sempre e soltanto servi dei potentati economico-finanziari mondiali, che avranno il mandato a cui lavorano da tempo: spogliare e svendere la nostra povera Italia.

 

Immagine: www.engage.it


Editoriale

 

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