Tutti al lavoro per un Draghi eterno

I timori delle scorse settimane, quando c’era già chi prospettava la sciagurata ipotesi di riproporre Mario Draghi presidente del Consiglio anche dopo le elezioni del 2023, si stanno materializzando, come testimoniano le recenti dichiarazioni di Carlo Calenda: “Voglio vedere chi nel 2023 – dopo il voto, se ci sarà la stessa maggioranza di oggi – potrà dire di non volere ancora Mario Draghi a Palazzo Chigi. Draghi non vuole fare politica, vuole governare”.

Ecco, le parole di Calenda, appena incoronato dal Congresso signore e padrone di Azione, il suo partito personale, seguono quelle del sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, altro campione della politica buonista, centrista e soprattutto “draghista”. E, ne siamo certi, presto arriveranno gli appelli di Matteo Renzi, Enrico Letta, Giggino Di Maio, Antonio Tajani e compagnia cantante: di uno come Draghi proprio non si può fare a meno, perciò, se gli italiani daranno nuovamente fiducia ai partiti che sostengono questo Governo, sarà quasi automatico indicare a Mattarella il nome di Draghi, per governare il Paese dal 2023 al 2028.

Com’è facile comprendere, lo scenario è drammatico: le attuali forze politiche sono in balia degli eventi: non c’è un solo leader vero, capace di invertire la rotta, di dire a chiare lettere che non ci si può riempire la bocca di paroloni come “democrazia”, “costituzione”, “diritti dei cittadini” e, poi, lavorare per far durare in eterno un esecutivo che si è sostituito alla democrazia, che ha varato una serie di norme anticostituzionali e che ha limitato, in modo sistematico, i diritti di ognuno di noi.

La verità è che, in un quadro politico devastato e caratterizzato dalla pochezza – meglio: dalla nullità – dei capi di partito, già oggi, a un anno dal voto, si ha la consapevolezza che almeno la metà del corpo elettorale resterà a casa e quello scarso 50 per cento che si recherà alle urne voterà in modo stanco e clientelare, senza creare scossoni. Così, sarà riproposto un Parlamento frammentato e, peraltro, anche ridotto nei numeri, con gruppi di Camera e Senato più facili da governare. Quindi, ad esempio, Giorgia Meloni, che già adesso canta vittoria e crede di potersi candidare alla guida del Paese, dovrà rassegnarsi a un’inutile opposizione, perché certamente sarà relegata in un angolo, a strillare al golpe, insieme ai vecchi amici di Colle Oppio e Garbatella, oggi guarda caso tutti parlamentari, e ai vari parenti, anche loro stipendiati dai noi cittadini, in quanto deputati o senatori.

La strada verso le elezioni del 2023, insomma, sembra segnata. E chi riteneva possibile una vittoria del centrodestra, probabilmente, dovrà rassegnarsi ad aspettare parecchio. Forza Italia, infatti, è pronta a sostenere Draghi per l’eternità, insieme a Pd, Cinque Stelle, Azione, Italia Viva, gli ex comunisti e chi più ne ha più ne metta. La Lega, da parte sua, è ormai quasi totalmente filo-Draghi e, in buona sostanza, è stato detto a Salvini che, se vuole allearsi con la Meloni, può accomodarsi: tutti i presidenti di Regione, a partire da Zaia, sono col ministro Giorgetti, pronti a fare un passo al centro, per appoggiare un nuovo Governo dei Migliori, anche nel 2023. I miliardi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) sono più importanti dei princìpi e gli industriali del nord-est, da sempre grandi elettori leghisti, se ne fregano delle bizze della Meloni: preferiscono i soldi di Draghi.

Prepariamoci, dunque, a un Draghi eterno. A meno che il popolo italiano, in un sussulto di dignità, butti all’aria i piani di questi cialtroni (che, impropriamente, si definiscono politici), recandosi in massa alle urne e cacciandoli, una volta per tutte. Un’ipotesi molto ottimistica, forse addirittura un sogno. Ma, come diceva Nelson Mandela, “un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso”.

 

Immagine: https://www.today.it/


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