La finanza e le assicurazioni contro il sistema INPS

Negli ultimi mesi sembra che i pensionati, e in genere il sistema previdenziale italiano, siano il principale problema dell’Italia, risolto il quale tutto si sistema: vengono infatti diffuse in continuazione notizie allarmistiche sulla sua stabilità, con dati omnicomprensivi che creano confusione perché non articolati e interpretati nelle loro componenti. E il principale diffusore di queste notizie è l’attuale presidente dell’INPS, Tito Boeri, tipico esempio del borghese pauperista (per gli altri), con esperienze di militanza nel “Movimento studentesco” di Mario Capanna, direttore della “Fondazione De Benedetti”.

Il segnale che viene dato è che le pensioni costano troppo allo Stato aumentando il debito pubblico e quindi, essendo troppo generose, vanno ridotte. Da questa presunzione derivano tutte le recenti normative penalizzanti per i pensionati in essere e quelli futuri: allungamento dell’età pensionabile, aumento degli anni di contribuzione, eliminazione degli adeguamenti al costo della vita. Si è arrivati all’assurdo che per andare in pensione anticipatamente rispetto alla data fissata occorre fare un mutuo in banca e l’assicurazione sull’eventuale premorienza!

Tutta questa propaganda si basa su dati inesatti: infatti, il saldo della spesa previdenziale nel 2016 ha registrato un deficit di 57 miliardi di euro, però solo 22 di essi sono attribuibili alla previdenza vera e propria, il resto riguarda l’assistenza, spese che comunque lo Stato deve accollarsi per motivi sociali e in base all’art. 38 della Costituzione. Da rilevare che il deficit della previdenza deriva dai mancati contributi dello Stato e degli Enti Locali per i propri dipendenti, per un ammontare di ben 29 miliardi di euro, mentre il fondo dei lavoratori dipendenti da imprese private (che riguarda il 90% dei lavoratori), insieme a quello dei lavoratori “parasubordinati”, è in attivo per oltre 8 miliardi.

Inoltre lo Stato recupera dai pensionati ben 54 miliardi d’imposte, tra IRPEF e addizionali regionali e comunali.

La sintesi di tutto ciò è che la spesa per prestazioni sociali incide solo per il 40% sul bilancio statale, il resto è attribuibile alla previdenza. Un altro dato importante è la percentuale dei lavoratori attivi rispetto ai pensionati: esso è pari a 1,40 e potrebbe raggiungere il prossimo anno, con l’avvio della ripresa economica, anche l’indice dell’1,50% che è un indice di stabilità.

Si è anche detto che l’abolizione della “legge Fornero” comporterebbe un maggior deficit di circa 15 miliardi di euro: ma così si calcola solo il costo delle pensioni erogate, ignorando le entrate dei contributi versati dai giovani che presumibilmente prenderanno il posto dei pensionati con il cosiddetto “turn-over”.

Ad aggiungere allarmismo, vi è stata la recente sentenza della Corte Costituzionale secondo cui il governo può annullare un diritto stabilito dalla legge (l’adeguamento annuale delle pensioni) a causa della situazione del bilancio statale: ma in tal modo nulla sarà più certo per i cittadini!

Tutto ciò mira a uno scopo: quello di far credere che la pensione non è sicura e che quindi bisogna pensarci da soli, ricorrendo alle assicurazioni e ai piani finanziari, come avviene negli USA. Però in tal modo, oltre a distruggere lo “Stato sociale” e un Istituto come l’INPS che non ha eguali in Europa e che è stato fondato nel 1933, s’incentiva indirettamente il lavoro “in nero” perché nessuno avrà più interesse a pagare i contributi per una pensione che non avrà.

Aver messo Boeri alla guida dell’INPS è stato per Renzi un altro favore fatto alla finanza e alle banche!


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