1968 - 1 marzo: la battaglia di Valle Giulia

Parlare di fatti del passato può essere fastidioso perché si rischia di scadere nel reducismo celebrativo proprio di chi non ha più niente da fare o da dire nella vita.  Per questi motivi  serve ricordare soltanto quello che conserva  freschezza e vitalità e può indicare un percorso che all’epoca fu solo iniziato e che a cinquanta anni di distanza deve essere ancora compiuto. E’ la via  che anche oggi occorre percorrere per poter giungere alla trasformazione radicale del sistema politico partitocratico ancora vigente: cioè a dire l’unione generazionale al di sopra ed oltre le ideologie per portare l’uomo ( la fantasia) al potere al posto del denaro.

1 marzo 1968 a Valle Giulia gli studenti romani liberano la facoltà di architettura occupata dalle forze dell’ordine. Il fatto in sé potrebbe avere valenza solo per chi vi ha partecipato per la soddisfazione della vittoria; ma non fu solo quello. I giovani che vi parteciparono, in nome della lotta al sistema dei partiti, superarono gli odi e gli steccati imposti dai padri. Niente più anti-fascismo, niente più anti-comunismo , ma solo un’enorme massa di studenti uniti dalla voglia di cambiare lo Stato, per cambiare la scuola. Per la prima volta studenti di opposte fazioni - all’epoca la politicizzazione e estremizzazione giovanile era pressoché totale - invece di scontrarsi e neutralizzarsi a vicenda, si univano per conquistare le chiavi di casa, per poter tornare artefici del proprio futuro e della propria storia.

E’ una giornata primaverile. A piazza di Spagna ci siamo tutti. L’accordo è fatto: i compagni non portano né alzano bandiere rosse, Caravella non alza simboli o bandiere. Anche gli slogans devono essere quelli e solo quelli: “Castro, Mao, Ho chi Min” per loro, “Fascismo, Europa, Rivoluzione” per noi.

Al PCI tutto questo non piace. Gli attivisti “cinesi” bloccano chi tenta slogans provocatori, i giovani della Caravella fanno altrettanto. Gli attivisti del PCI, guidati dal responsabile della Federazione romana, Trivelli, cercano di dirottare il corteo, di oltre quattromila persone, verso il centro. Li seguiranno in pochi: è la crisi; dopo pochi giorni la Federazione Giovanile Comunista sarà costretta a sciogliersi per infiltrare tutti i suoi quadri rimanenti nel Movimento Studentesco e tentare di monopolizzarlo.

Il grosso del corteo giunge a Valle Giulia, la polizia, che presidia la facoltà, carica. Questa volta gli studenti non fuggono. Dà loro entusiasmo la forza attivistica della Caravella. I giovani, esultanti perché la polizia è fuggita, entrano nella facoltà; è un errore che Caravella non commette.

I rinforzi di celere e carabinieri schiacceranno e picchieranno selvaggiamente questi giovani, mentre tutto intorno a Valle Giulia proseguono scontri cruenti dove i giovani “fascisti” si distinguono per la loro generosità. Anche le donne dei “cinesi” si buttano nelle mischie con coraggio spronando a gran voce i propri compagni a non restare dietro. La celere tenta a più riprese attacchi con tutti i suoi mezzi: ma la natura dei luoghi e la compattezza giovanile riescono ad avere la meglio ed a respingere i vari tentativi.

E’ una giornata di autentica battaglia.

Il periodico della sinistra “Quindici”, qualche tempo dopo, pubblicherà un poster gigante che sarà sui muri delle stanze della maggioranza dei giovani del 68: il suo titolo è “La battaglia di Valle Giulia”. I volti che vi si riconoscono, sono volti noti: sono i giovani della Caravella Adriano Tilgher, Tonino Fiore, Guido Paglia, Stefano Delle Chiaje, Mario Merlino, Maurizio Giorgi, Pierfranco Di Giovanni, Roberto Palotto, Roberto Raschetti, Mimmo Pilolli,…

Fu un trauma per la sclerotica classe dirigente italiana; fu una rottura degli schemi costruita in pochi giorni dalla fervida fantasia  di alcuni giovani….

                                                                                                                


Editoriale

 

Ricostruire l'unità nazionale

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Siamo alle solite. In Italia siamo troppo occupati ad affrontare temi marginali o impostici da altre nazioni per renderci conto della grave situazione in cui versa la nostra nazione. Purtroppo tutto questo accade perché a nessuno dei cosiddetti politici, né alle istituzioni interessa nulla dell’Italia; basti pensare alla scomparsa in tutte le scuole di ogni ordine e grado della storia, della grande cultura classica ed umanistica, base e fondamento sia del nostro percorso unitario che della nostra profonda identità.

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La Spina nel Fianco

 

L'ethos del cameratismo

1944 il poeta, soldato, (e bisessuale) Robert Graves, (1895 -1985) dà alle stampe il suo romanzo più famoso, "Il vello d'oro”, che parla fra altre cose, della guerra dei sessi nella mitologia Greca (successivamente ereditata dai Romani). Graves dipinge il "litigio" fra Zeus ed Era, più che come una satira sui problemi domestici delle famiglie greche, come un conflitto fra sistemi sociali inconciliabili. Nel descrivere il panteon greco l'autore narra dello scontro fra le divinità femminili dei popoli mediterranei guidate da Madre Gea e gli dei del pantheon maschile, guidati da Zeus arrivati dal nord con gli invasori achei, che si sono fatti largo a spallate nella Grecia arcaica e matriarcale. Ad Olimpia cittadina del Peloponneso occidentale, che ha dato nome alle "Olimpiadi" dove sorgeva il tempio di Gea, più venerato di tutta la Grecia, un paio di millenni prima dell’"era dell’Uomo", pare si sia tenuta una sorta di sacro G20, un super vertice religioso con lo scopo di raggiungere una pacificazione. Da un lato, le diverse manifestazioni della triplice Dea, con i loro riti della fertilità, ed un certo gusto per i sacrifici umani, dall’altro gli dei guerrieri venuti dal nord, che erano usi tenere le donne alla catena, in cielo come in terra. Ma sarà una pace fittizia, la guerra metafisica, non finirà mai, e giunge fino a noi alimentata dal tentativo del nuovo ordine mondiale di uniformare, e quindi annullare ogni diversità di genere.

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