Il voto a Roma: comunque vada sarà un insuccesso

Ora che il quadro dei candidati al Campidoglio è chiaro, possiamo affermarlo senza tema di smentite: il futuro di Roma è nero, perché, chiunque vinca, la Capitale d’Italia avrà un altro sindaco inadeguato. Dopo Marino e Raggi, due esempi di come non si amministra una metropoli europea, i romani dovranno sorbirsi un’altra legislatura di rinvii, accuse a chi ha governato prima e, quel che è peggio, di totale inefficienza.

Se rivincerà la Raggi, ipotesi improbabile, ma non da escludere del tutto, Roma crollerà definitivamente, tra le lotte intestine del Movimento Cinque Stelle e i cumuli di rifiuti, gentilmente offerti dall’accoppiata Raggi (Comune)-Zingaretti (Regione Lazio). Se, invece, tornerà a governare il centrosinistra, toccherà a quel Gualtieri che, da ministro dell’Economia del Conte bis, ha fatto danni su danni. Del resto, lui è uno storico, Merkel e Macron lo hanno voluto all’Economia e lui ha fatto l’unica cosa che poteva: eseguire gli ordini dell’Europa e dei potentati economico-finanziari, infischiandosene dell’interesse nazionale. Ecco, se Gualtieri diventasse sindaco riuscirebbe, probabilmente, a emulare la Raggi, peggiorando ulteriormente la situazione della Capitale. L’auspicio è che il professor Gualtieri possa tornare a occuparsi di storia e che i cittadini romani non debbano mai vederlo alla guida del Campidoglio.
Calenda, che si è candidato quasi un anno fa, lo conoscono tutti: è stato ministro dell’infausto governo Renzi, finendo col litigare col Bullo fiorentino. Motivo? Lui è un bullo romano, pieno di sé, oltremodo spocchioso e snob. Chi lo conosce bene spiega che con Renzi proprio non poteva andare d’accordo: due primi della classe, sempre in competizione, alla lunga dovevano scontrarsi. E così è stato. Eppure, malgrado da ministro non ne abbia azzeccata una e il suo partito, come quello di Renzi, abbia numeri da prefisso telefonico, Calenda guarda tutti dall’alto in basso, sottolineando che soltanto lui può salvare la Capitale. Fortunatamente, una sua vittoria non rientra nelle ipotesi possibili.

Resta da dire del professor Enrico Michetti, candidato del centrodestra. Certamente, in questo panorama desolante, è il migliore, ma si tratta di una magra consolazione. Michetti è un altro personaggio pieno di sé, che non ha mai fatto politica in prima persona. Ha collaborato e collabora con moltissimi sindaci, in quanto fondatore della Gazzetta Amministrativa, è un ottimo avvocato e un buon professore (dicono), ma non si è mai cimentato in competizioni elettorali. Improvvisamente, viene proiettato nella corsa al Campidoglio. Possibilità di vittoria ne ha molte, soprattutto se il centrodestra non si dividerà, ma niente garantisce che, se vincesse, Michetti sarebbe un buon sindaco. Al contrario, le possibilità di un suo fallimento da primo cittadino della Capitale sono altissime.

Tirando le somme, i romani hanno poco da stare allegri: se saranno fortunati, alla guida del Campidoglio si ritroveranno un professore che non ha mai avuto a che fare direttamente con la politica e che difficilmente riuscirebbe a tenere a bada gli avvoltoi che saranno eletti in Consiglio comunale, anche nei partiti che lo sostengono. Se dovesse andare male, invece, Roma si ritroverà con un sindaco espressione delle lobby finanziarie europee o, sciagura ancor peggiore, di nuovo con Virginia Raggi. Insomma, comunque vada, sarà un insuccesso.


Editoriale

 

Ricostruire l'unità nazionale

di Adriano Tilgher

Siamo alle solite. In Italia siamo troppo occupati ad affrontare temi marginali o impostici da altre nazioni per renderci conto della grave situazione in cui versa la nostra nazione. Purtroppo tutto questo accade perché a nessuno dei cosiddetti politici, né alle istituzioni interessa nulla dell’Italia; basti pensare alla scomparsa in tutte le scuole di ogni ordine e grado della storia, della grande cultura classica ed umanistica, base e fondamento sia del nostro percorso unitario che della nostra profonda identità.

Leggi tutto...

La Spina nel Fianco

 

L'ethos del cameratismo

1944 il poeta, soldato, (e bisessuale) Robert Graves, (1895 -1985) dà alle stampe il suo romanzo più famoso, "Il vello d'oro”, che parla fra altre cose, della guerra dei sessi nella mitologia Greca (successivamente ereditata dai Romani). Graves dipinge il "litigio" fra Zeus ed Era, più che come una satira sui problemi domestici delle famiglie greche, come un conflitto fra sistemi sociali inconciliabili. Nel descrivere il panteon greco l'autore narra dello scontro fra le divinità femminili dei popoli mediterranei guidate da Madre Gea e gli dei del pantheon maschile, guidati da Zeus arrivati dal nord con gli invasori achei, che si sono fatti largo a spallate nella Grecia arcaica e matriarcale. Ad Olimpia cittadina del Peloponneso occidentale, che ha dato nome alle "Olimpiadi" dove sorgeva il tempio di Gea, più venerato di tutta la Grecia, un paio di millenni prima dell’"era dell’Uomo", pare si sia tenuta una sorta di sacro G20, un super vertice religioso con lo scopo di raggiungere una pacificazione. Da un lato, le diverse manifestazioni della triplice Dea, con i loro riti della fertilità, ed un certo gusto per i sacrifici umani, dall’altro gli dei guerrieri venuti dal nord, che erano usi tenere le donne alla catena, in cielo come in terra. Ma sarà una pace fittizia, la guerra metafisica, non finirà mai, e giunge fino a noi alimentata dal tentativo del nuovo ordine mondiale di uniformare, e quindi annullare ogni diversità di genere.

Leggi tutto...

Questo sito si serve di cookies tecnici e di terze parti per fornire servizi. Utilizzando questo sito acconsenti all'uso dei cookies.