Il giudice Cheli ed il fallimento delle grandi riforme

   L’ex giudice costituzionale e ordinario universitario Enzo Cheli, in una relazione pubblicata sull’ultimo numero della “Nuova Antologia”, ha cercato di sintetizzare, in modo agile, le ragioni del fallimento delle c.d. “grandi riforme”.

   Per “grandi riforme” naturalmente ha inteso riferirsi a quella elettorale (l’”Italicum”), bocciata in parte dalla Corte costituzionale con la sentenza n.35/2017, e a quella della II parte della Costituzione, pesantemente rigettata dalla volontà popolare il 4 dicembre 2016.

   La Corte ha abbattuto la proposta di legge del 2015 del governo Renzi, su due passaggi portanti, i ballottaggi e le candidature, impostati in maniera da restringere le libertà democratiche e la volontà popolare, criteri ispiratori della Carta.

   Difficilmente contestabile invece il dubbio sulle ragioni del responso negativo nella consultazione ultima. L’orientamento è espresso dallo stesso Cheli nel momento in cui riconosce nella seconda proposta “termini confusi, contradittori e tecnicamente inadeguati” ma innanzitutto il rifiuto espresso dai cittadini in termini numerici inequivocabili agli “obbiettivi di politica contingente e di conservazione del potere” da parte del PD “più che ad oggettive esigenze di interesse comune”.

   Non semplici e non banali risultano i problemi sul tappeto, l’ impianto bicamerale, da rivedere ma non certo da eliminare, la forma del governo, da rafforzare nei compiti dell’esecutivo senza minare o ledere il sistema parlamentare, il più adatto ad un paese, come l’Italia, politicamente frastagliato, la struttura statale burocraticamente da alleggerire ma non da impoverire a vantaggio di Regioni arroganti, velleitarie e campanilistiche.

   Cheli è dell’ avviso sia fondatamente da escludere una bocciatura definitiva del processo riformatore dopo i fallimenti del biennio renziano ma ritiene si debba passare ad impostazioni “storicamente, politicamente e tecnicamente” felici, centrate ed equilibrate.

   Alla base esiste la necessità e l’urgenza, purtroppo miseramente avvertite dai raggruppamenti di maggiore consistenza (PD e FI), di una riduzione delle distanze, oggi sempre più larghe ed intense tra un paese legale tale solo per stanchezza, confuso e privo di prospettive ariose e promettenti, cioè programmi realistici e misurati, e un paese reale tanto amareggiato,  da intraprendere la strada ardua e severa dell’astensionismo o da arrivare con l’opzione grillina, urlata e inconcludente, addirittura all’autolesionismo.


Editoriale

 

Possiamo farlo

di Adriano Tilgher

La situazione sta evolvendo in segno positivo. Se osserviamo con attenzione le cose che accadono attorno a noi, ci rendiamo conto di quanto sia falsa, inutile e depistante la presunta realtà che ci raccontano i media tutti (o quasi) e quanto si stia risvegliando il popolo italiano. Basta un po’ di spirito di osservazione. Iniziano ad essere tante le persone che si sentono in dovere di esprimere il proprio dissenso, a dare la giusta lettura degli eventi, a parlare con linguaggi che sembravano spenti, perduti. Strani simbolismi appaiono anche dalle stanze ufficiali. Cosa fino a ieri impensabile. Qualcosa sta cambiando.

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La Spina nel Fianco

 

Comandante

13 dicembre 1942, il motopeschereccio armato “Cefalo”, di stanza presso la base di "La Galite” in Tunisia, di ritorno da una incursione nel porto di “Bona”, in Algeria, viene attaccato da uno Spitfire inglese, Durante il mitragliamento, vengono colpiti a morte numerosi membri dell'equipaggio, fra cui in comandante. Qui finisce la vita terrena di Salvatore Todaro, pluridecorato Comandante della nostra marina Militare.

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