La RAI deve tornare servizio pubblico

La Rai deve ritrovare il suo ruolo di servizio pubblico radiotelevisivo perché solo così giustificherà il canone che, se abolito,    la distruggerebbe, provocando una crisi in tutto il sistema italiano dei media. L'azienda ha molte professionalità che le consentono di sostenere una concorrenza agguerrita anche senza rincorrere le tv private,  spesso a livelli molto bassi, come ,purtroppo, si sta facendo oggi. Tali indubbie professionalità, inoltre, subiscono non poche mortificazioni per l'ingerenza dei partiti.  Ingerenza che trova le più evidenti espressioni nelle nomine , nelle promozioni e, in particolare, nel Tg1 che arriva ,con l'esempio dell'ex-direttore oggi DG, a censurare le notizie che si ritengono negative per  i propri sponsor politici. Questo avviene in misura talvolta ridicola , talvolta subdola, ma sempre senza rendersi conto che, come testimoniano studi e ricerche,  non sono i tg ad influire sull'immaginario collettivo e, di conseguenza, sulle tendenze politiche dei telespettatori, ma gli sceneggiati  e certi spettacoli di intrattenimento che, in Rai, finiscono per essere negativi per chi comanda a livello nazionale.

L'insistere sul tutto va bene, sull'Italia che cresce , la disoccupazione diminuisce, sulle molte riforme positive fatte, come avviene oggi nell'informazione del servizio pubblico radiotelevisivo, è palesemente controproducente, come  dimostrano i sondaggi politici.

Dovrebbero, i partiti, rendersi conto che mettere le mani sulla Rai ,come stanno facendo ,è un clamoroso errore  perché contribuisce  a peggiorare le loro condizioni veramente disastrose se . come ha registrato l'ultimo rapporto del Censis,  la    sfiducia degli italiani nei loro confronti è all'87%, mentre alcuni sondaggi la danno addirittura al 95%.

E', dunque, indispensabile una vera riforma della Rai che la rilanci come servizio pubblico, capace  d'essere la più grande azienda culturale del Paese  e, realmente,  dalla parte dei cittadini, rappresentando anche quell'Italia che lavora, produce e non fa notizia sensazionale, ma è maggioritaria e garantisce che ci si avvii sulla strada della stabilità sociale ed economica.

Una Fondazione culturale propose, tempo addietro, alcune idee riformatrici  che rimasero inascoltate. Sarebbe opportuno riprenderle per affinarle, integrarle se necessario. Di certo quelle idee consentirebbero di togliere le  mani dei partiti dalla  Rai perché il cd, composto da cinque persone, sarebbe formato da due componenti eletti dagli abbonati, ossia dai cittadini che pagano, obbligatoriamente , il canone , due dai dipendenti ( 1dai giornalisti, 1 dagli altri settori) , 1 nominato dal Ministero dell'Economia che ha la quasi totale proprietà dell'azienda , esclusa una microscopica partecipazione della Siae.

Nell'attuale accesa campagna elettorale , dove pare che all’indispensabile cultura del confronto e del dialogo si opponga la cultura dell'odio e dell'insulto, ci sarà qualche partito che, fra le tante promesse, inserirà il rinnovamento ed il rilancio della Rai? Auguriamocelo perché  invece di ricordare, quasi con voce unanime e tanti elogi, quanto fece un grande direttore generale come il compianto Ettore Bernabei, si dovrebbero recuperare alcune sue innovazioni valide ancor oggi. Una, in particolare, mi piace ricordare: il teleromanzo   che fece epoca anche a livello internazionale e avvinse milioni di telespettatori in Italia .

Non si venga a dire ,da parte di esponenti partitici, che è sempre stato come oggi in Rai. No! Nella  "prima Repubblica" esisteva, certo, la lottizzazione, ma  era "intelligente" perché innanzitutto sceglieva fior di professionisti che non rispondevano ai diktat di partito  e privilegiavano l'essere aziendalisti, al di là delle loro opinioni politiche.


Editoriale

 

Ricostruire l'unità nazionale

di Adriano Tilgher

Siamo alle solite. In Italia siamo troppo occupati ad affrontare temi marginali o impostici da altre nazioni per renderci conto della grave situazione in cui versa la nostra nazione. Purtroppo tutto questo accade perché a nessuno dei cosiddetti politici, né alle istituzioni interessa nulla dell’Italia; basti pensare alla scomparsa in tutte le scuole di ogni ordine e grado della storia, della grande cultura classica ed umanistica, base e fondamento sia del nostro percorso unitario che della nostra profonda identità.

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La Spina nel Fianco

 

L'ethos del cameratismo

1944 il poeta, soldato, (e bisessuale) Robert Graves, (1895 -1985) dà alle stampe il suo romanzo più famoso, "Il vello d'oro”, che parla fra altre cose, della guerra dei sessi nella mitologia Greca (successivamente ereditata dai Romani). Graves dipinge il "litigio" fra Zeus ed Era, più che come una satira sui problemi domestici delle famiglie greche, come un conflitto fra sistemi sociali inconciliabili. Nel descrivere il panteon greco l'autore narra dello scontro fra le divinità femminili dei popoli mediterranei guidate da Madre Gea e gli dei del pantheon maschile, guidati da Zeus arrivati dal nord con gli invasori achei, che si sono fatti largo a spallate nella Grecia arcaica e matriarcale. Ad Olimpia cittadina del Peloponneso occidentale, che ha dato nome alle "Olimpiadi" dove sorgeva il tempio di Gea, più venerato di tutta la Grecia, un paio di millenni prima dell’"era dell’Uomo", pare si sia tenuta una sorta di sacro G20, un super vertice religioso con lo scopo di raggiungere una pacificazione. Da un lato, le diverse manifestazioni della triplice Dea, con i loro riti della fertilità, ed un certo gusto per i sacrifici umani, dall’altro gli dei guerrieri venuti dal nord, che erano usi tenere le donne alla catena, in cielo come in terra. Ma sarà una pace fittizia, la guerra metafisica, non finirà mai, e giunge fino a noi alimentata dal tentativo del nuovo ordine mondiale di uniformare, e quindi annullare ogni diversità di genere.

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