L'interesse personale dello "statista" Di Maio

“Giggino” Di Maio è un ragazzo venuto dal nulla, che si è ritrovato, in pochi anni, dallo strappare biglietti allo stadio San Paolo di Napoli all’essere, nell’ordine, deputato, capo politico del Movimento 5Stelle, vicepremier e ministro dell’Economia, prima, e degli Esteri, poi. Un quadruplo salto mortale, che deve avergli dato un tantino alla testa, facendogli perdere il senso della misura e del ridicolo.

Nel giro di un anno e mezzo, infatti, Di Maio ha portato il Movimento 5Stelle al governo, in un primo momento, con la Lega, e, successivamente, con i post-comunisti, contraddicendo, nei fatti, tutto quello che aveva sempre detto sui “poltronari” di professione, oltre che sui 5Stelle contrari a qualsiasi accordo con chicchessia. Non solo i grillini, pur di andare al governo, si sono accordati con Salvini, ma, per restarci, hanno raggiunto un compromesso anche con chi è più lontano dalle idee della Lega, vale a dire, Renzi, Pd e Leu. Ovviamente, questa doppia giravolta non è piaciuta a chi aveva dato il voto ai 5Stelle, sperando in un nuovo modo di intendere la politica, e tutte le ultime tornate elettorali – dalle Europee alle Regionali, passando per le Comunali – sono state delle vere e proprie Caporetto per Di Maio e compagnia.

In qualsiasi partito serio, la leadership di “Giggino” sarebbe stata messa in discussione, ma in un Movimento che di democrazia si riempie la bocca, ma che in realtà è diretto da due persone (Grillo e Casaleggio figlio), il dissenso è stato tacitato, blindando Di Maio. Il quale, a dire il vero, non era favorevole al Conte bis e all’alleanza con Renzi, Zingaretti e Bersani, ma – di fronte all’ipotesi di perdere tutto, sia la guida dei 5Stelle che la poltrona di ministro – si è insediato alla Farnesina, bevendo l’amaro calice dell’intesa con i post comunisti.

I risultati, però, continuano a essere drammatici per il Movimento, come testimonia l’ennesima disfatta in Umbria. E il governo continua a fare acqua da tutte le parti, a partire dalla vicenda dell’Ilva di Taranto, figlia, peraltro, anche dei tanti errori dello stesso Di Maio. “Giggino” si agita, prende in mano la situazione (o almeno ci prova) e fa più danni della grandine. Così, il secondo esecutivo Conte è perennemente sull’orlo della crisi, tra un braccio di ferro e uno scambio di accuse tra Di Maio, Renzi e Zingaretti.

Tutti contro tutti, insomma, ma con Di Maio sempre protagonista mediatico, malgrado tutte le sconfitte elettorali collezionate in questo anno e mezzo dovrebbero consigliargli prudenza e moderazione. Lui, al contrario, parla e sparla, imperversa in tv e sui giornali, non ci abbandona un attimo. E, allora, la domanda è d’obbligo: possibile che non si renda conto? Possibile che non capisca che, così facendo, danneggia il governo, rendendolo sempre più instabile?


Editoriale

 

I diritti civili

di Adriano Tilgher

Si fa un gran parlare, in questi tempi, di diritti civili e la mia sensazione è che pochi fra quelli che ne parlano sappiano esattamente cosa siano questi diritti civili, che sul piano della sinistra hanno letteralmente soppiantato i diritti sociali che sono scomparsi dal dibattito politico, nonostante siano totalmente sotto attacco. Guardo raramente e con difficoltà i dibattiti televisivi perché sento solamente banalità per lo più insulse, prive di riscontri reali e soprattutto completamente estranei alla realtà e alla gravità dei problemi che stiamo affrontando come Italiani.

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La Spina nel Fianco

 

Professor Odal

5 marzo 1965, muore al Cairo, Omar Amin, militare, politico, filosofo ed esoterista tedesco naturalizzato egiziano, amico di Renè Guenon e di Savriti Devi. Omar Amin, nasce in Germania a Karbow-Vietlübbe, un piccolo comune del Meclemburgo-Pomerania, il 25 gennaio 1902, con il nome di Johann Jakob von Leers. Studiò nelle università di Kiel, Berlino e Rostock, laureandosi in giurisprudenza. Si dedicò soprattutto a studi storici e linguistici, come la slavistica. Divenne un poliglotta, imparò italiano, russo polacco, ungherese arabo e giapponese; scriveva correntemente in latino, ma anche nello yiddish degli ebrei aschenaziti dell'Est Europa. Ernst Jünger (1895-1998) lo definì “un genio linguistico”. Nel mondo intellettuale tedesco von Leers era noto con l'appellativo, "professor", il professore,  anche in virtù della cattedra universitaria presso l'università di Jena.

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