Francia-Italia

Asterix il ribelle veste di giallo, un gilet da automobilista in panne nella notte, à la guerre comme à la guerre non per accontentarsi della brodaglia del convento, più il Ce n’est qu’un début, continuons le combat! del maggio ’68, riveduto sulla sponda “populista”.  E’ l’urlo della Francia strozzata dalle tasse che incendia Parigi, strappando l’abito natalizio degli. Champs-Elysees con ore di guerriglia. Le macron-gabelle sono  la miccia al Bum rivoluzionario, ma niente mediocre “possibile” accordo, i manifestanti cavalcano l’impossibile: rovesciare il tavolo rifondando lo Stato. Manifestazioni, scontri, blocchi stradali stringono l’Eliseo alla gola, giallo è il colore della rivolta, ci si riconoscono bianchi, rossi, neri, una saldatura di forze che fa tremare il Governo, qualche nostro nostalgico ripenserà a Valle Giulia. L’antica Gallia di rivoluzioni ne ha pieno il tascapane, non solo quella del 1789 ma ancor prima la manina francese c’era già nelle prove generali del grande Blek contro la parruccona Albione, poi il ’30, il ’48, la Comune del 1871 e molte altre.

Jacqueline Mouraud, cinquantun’ anni, Giovanna d’Arco della sollevazione, incarna “La libertà che guida il popolo”, in auto, di sobria eleganza, non nuda come la dea di Delacroix, mostra il gilet giallo, divisa del povero autista vessato da mille balzelli, mentre il moscio Macron viaggia in auto blu a spese dei contribuenti. Internet ha fatto il resto, un tam tam di condivisioni, poi i primi blocchi delle strade, fino a diventare un fiume esondante ribellione anche nei paesini, pensate, fino ai Tropici. Si sa le rivoluzioni non si fanno lanciando colombine ma innalzando barricate, non son pane da pianisti di fb ma sangue di uomini e donne che scendono in strada, prendono e danno manganellate, conoscono i ceppi. Gli italici mezzibusti, inorriditi borghesucci, inquadrano vetrine rotte, intervistano struzzi benpensanti, parlano d’ infiltrati, ma evitano scientemente di spiegare perché centinaia di migliaia di francesi abbiano scelto la rivolta. L’algido Macron è alla canna, in picchiata, Governo alla sbarra, la Polizia invoca il coprifuoco come in guerra, emergenza rossa all’Eliseo après le samedi noir parigino. Vuoi vedere che la Storia non è finita, caro FuKuyama, anzi se ne tornano a scrivere pagine bollenti col pennino intinto nell’inchiostro giallo. Eh già niente in Francia sarà come prima, e l’Eurabia dei bordelli finanziari con le chiese chiuse e minareti ovunque (osservava Brigitte Bardot), quest’ Europa sta implodendo, non ha le ossa di valori, tradizioni, fede, cultura, è un corpo flaccido in preda all’Alzheimer, appeso al muro co’ un solo chiodo: il rapporto deficit-PIL.

Che fa “lo stacco Italia”, dove 1,03 Euro/l (su 1.64 E/l) è di accise parassite con la fregatura d’ un ritocchino alla Befana? In Francia la benzina costa meno, compreso l’aumento macroniano, eppure è alzata di scudi popolare, da noi c’è il trenino delle feste idiote, in fila come i grani di un rosario prima dell’aumento, giaculatorie alle colonnine, fai da te per un cent., giro dei distributori a confrontare il prezzo, niente di più, neanche il vecchio Governo ladro! Figlioli, sentenzierebbero i clergyman della Chiesa Onlus “date a Cesare quel che è di Cesare” dimentichi del comandamento “non rubare” valido per tutti, soprattutto per uno Stato condominiale. “Sacrificare ciò che sei e vivere senza credere, quello è più terribile della morte” citando un aforisma della Pulzella d’Orléans così vicino a quel: “se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui” di E. L. Pound. Forse i Galli hanno la rivoluzione nel genoma, barricaderi per vocazione urlano il dogma democratico: la sovranità appartiene al popolo, o meglio ancora alla Patria (aiuto! il sovranismo!), di certo non da un prodotto dell’establishement internazionale che blatera contro i nazionalismi (degli altri), seduto a sera sulle ginocchia della “nonna” magari per farsi consolare che in Argentina l’unico ad accoglierlo vestiva un gilet giallo (!).

La Francia, non l’Italia, ha celebrato in pompa magna il centenario della vittoria nella PGM dove invece fu decisivo il mormorio del Piave ai fini della resa asburgica, monsieur le Président. Ma quella era un’altra Italia, lontana anni luce dall’ untuoso Paese che conosciamo, riempì piazze, vie di monumenti e titoli ai suoi eroi, una testuggine di popolo contro il maniero degli euro burattinai, almeno fino all’8 settembre del ’43 e ancor’ oltre per gli indomiti. La guerra non è più sui confini d’ una Patria comune ma sul Def, la Colt alla tempia è lo spread, s’ammosciano i titoli, soffrono le banche, tremano i risparmiatori, si rischia il cartellino rosso d’infrazione.

La rivoluzione giallo-verde era solo un numero, il 2,4%! Si torna bastonati negli spogliatoi rifacendo da bravi scolaretti i conti. Mais alors vive la France!


Editoriale

 

I diritti civili

di Adriano Tilgher

Si fa un gran parlare, in questi tempi, di diritti civili e la mia sensazione è che pochi fra quelli che ne parlano sappiano esattamente cosa siano questi diritti civili, che sul piano della sinistra hanno letteralmente soppiantato i diritti sociali che sono scomparsi dal dibattito politico, nonostante siano totalmente sotto attacco. Guardo raramente e con difficoltà i dibattiti televisivi perché sento solamente banalità per lo più insulse, prive di riscontri reali e soprattutto completamente estranei alla realtà e alla gravità dei problemi che stiamo affrontando come Italiani.

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La Spina nel Fianco

 

Professor Odal

5 marzo 1965, muore al Cairo, Omar Amin, militare, politico, filosofo ed esoterista tedesco naturalizzato egiziano, amico di Renè Guenon e di Savriti Devi. Omar Amin, nasce in Germania a Karbow-Vietlübbe, un piccolo comune del Meclemburgo-Pomerania, il 25 gennaio 1902, con il nome di Johann Jakob von Leers. Studiò nelle università di Kiel, Berlino e Rostock, laureandosi in giurisprudenza. Si dedicò soprattutto a studi storici e linguistici, come la slavistica. Divenne un poliglotta, imparò italiano, russo polacco, ungherese arabo e giapponese; scriveva correntemente in latino, ma anche nello yiddish degli ebrei aschenaziti dell'Est Europa. Ernst Jünger (1895-1998) lo definì “un genio linguistico”. Nel mondo intellettuale tedesco von Leers era noto con l'appellativo, "professor", il professore,  anche in virtù della cattedra universitaria presso l'università di Jena.

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