Intervista a Israel Lira

Intervista a Israel Lira

Pubblichiamo una interessantissima intervista a Israel Lira, uno dei responsabili dielCentro de Estudios Crisolistas e dell’organizzazione politica Jóvenes por la Segunda República, realtà del Perù dedicata agli studi e alla diffusione del pensiero politico alternativo, a cura di Andrea Virga, nell’ottica di una condivisione di idee e proposte culturali al di fuori dei confini nazionali, uno degli obiettivi che fieramente ci impegniamo a portare a compimento.

1) Presenta te stesso e la tua organizzazione: come è articolata, da quando esiste e qual è la sua dimensione. Che relazione c’è tra il Centro de Estudios Crisolistas e l’organizzazione politica Jóvenes por la Segunda República?

Innanzi tutto ringrazio per l’opportunità e procedo a presentarmi. Sono Israel René Lira, laureato in giurisprudenza e scienze politiche presso l’Università di Lima, vicedirettore del Centro de Estudios Crisolistas, nonché socio attivo e membro del Consiglio direttivo della Società Peruviana di Filosofia, Ricercatore indipendente, editorialista e saggista, consulente tecnico-legale in appalti pubblici, arbitrati e commissioni di risoluzione delle controversie.

Come vicedirettore del Centro de Estudios Crisolistas, sono anche capo del Dipartimento di Studi in Filosofia e Politica, incaricato di svolgere ricerche nelle aree menzionate sotto un approccio crisolista allo studio.

Quest’ultimo è la metodologia di ricerca stabilita dal Centro de Estudios Crisolistas (di seguito CEC) per orientare il proprio lavoro, come vedremo tra pochi istanti.

Il CEC è un centro di ricerca nelle scienze sociali peruviane, creato il 6 marzo 2017, con sede nella città di Lima, per la diffusione degli studi crisolisti in Perù, Iberoamerica e nel mondo. Per quanto riguarda la nostra organizzazione interna, abbiamo quattro posizioni amministrative che compongono il consiglio direttivo e quattro posizioni investigative interconnesse, ovvero ogni direttore, a sua volta, è capo di un dipartimento di ricerca. Pertanto, abbiamo quanto segue:

  1. Direttore generale e capo del Dipartimento di Studi di Archeologia e Storia, Pedro Vargas Nalvarte, laureato in archeologia con master in linguistica all’Università Nazionale Mayor de San Marcos, ricercatore presso il Laboratorio di Paleontologia dei Vertebrati del Museo di Storia Naturale e dell’Associazione Peruviana di Arte Rupestre (APAR).
  2. Vicedirettore e capo del Dipartimento di Studi di Filosofia e Politica, Israel Lira.
  3. Direttore legale e capo del Dipartimento di studi in Gestione Pubblica e Pianificazione, Miguel Beraún, laureato in giurisprudenza presso l’Università San Martín de Porres, con master in diritto commerciale presso l’Università Peruviana di Scienze Applicate, ricercatore indipendente, consulente tecnico-legale in diritto del lavoro, amministrativo e dei registri pubblici.
  4. Direttore dell’ufficio stampa e delle pubbliche relazioni e capo del Dipartimento di Studi in Comunicazione e Sviluppo Sociale, Giannini Neria, laureata in comunicazione presso l’Università Nazionale Pedro Ruiz Gallo de Lambayeque, con una specializzazione in pubblica amministrazione presso l’Università Nazionale di Trujillo, diplomata in Antropologia visiva presso l’Università di Piura e specialista in comunicazione per lo sviluppo di popolazioni vulnerabili, embro del Consiglio direttivo dell’Associazione degli Interpreti di Lingua dei Segni di Lambayeque, delle Giovani Donne Politiche e delle Donne Latinoamericane in Lotta per l’Acqua e la Vita.

Questi dipartimenti hanno aree di ricerca specifiche in base a ciascun elemento, formando tutte in unità, gli studi crisolisti.

Questi prevedono di emergere come un genere simile a quello degli studi sociali, nella misura in cui configurano un campo ampio e multidisciplinare, ma con la particolarità propria del suo sviluppo teorico, nella misura in cui includono le analisi particolari e comparative di religioni, filosofie e scienze al fine di ottenere una conoscenza sistemica e completa dell’essere umano e delle sue molteplici manifestazioni fenomeniche, siano esse politiche, economiche, sociali, culturali, etico-morali, scientifiche, filosofiche e religiose. Pertanto, include non solo le scienze pratiche sociali e le scienze umane, ma anche le scienze formali e le scienze pratiche naturali.

Di conseguenza, la natura degli studi crisolisti come quadro metodologico nella ricerca scientifica è chiaramente olistica ed eclettica, cercando quindi di avere il più grande campo di contrasto empirico disponibile per una completa comprensione della realtà esistenziale umana da tutti i fronti possibili, cercando di confrontare con esso gli scogli ​​della ricerca scientifica contemporanea, in una chiara allusione ai dogmatismi, ai riduzionismi, agli anacronismi e alle mode intellettuali, che portano di conseguenza l’approccio ai nostri diversi problemi da una falsa coscienza, e che spesso giustificano la continuazione di un sistema di pensiero egemonico.

Stando a quanto esposto, anche in Perù, gli studi crisolisti hanno come obiettivo generale una migliore comprensione della realtà peruviana in tutta la sua complessità, identificando gli ostacoli che impediscono una visione obiettiva della nazione e quindi la sua capacità di migliorarsi nel tempo come comunità umana, aggiungendo come obiettivi specifici, il graduale aumento della cultura e della conoscenza della società peruviana sul proprio spazio esistenziale, contribuendo così alla costruzione di una nuova visione della nazione peruviana in grado di educare l’opinione pubblica e influenzare le politiche statali.

È a partire dal lavoro di ricerca del centro, in particolare quello del Dipartimento di Studi di Filosofia e Politica, che è stata sviluppata la teoria politica del Crisolismo (come un progetto della Quarta Teoria Politica Peruviana), il nome su cui ruota l’intera narrazione del centro. Neologismo che allude al Perù stesso come uno spazio in cui diversi gruppi etnici, razze, visioni del mondo, ecc. si incontrano. Tutto ciò contribuisce in senso interculturale all’idea della peruvianità (cultura, spiritualità, tradizioni, costumi, ecc.), comprendendo quest’ultima, in applicazione dell’ontologia di Heidegger, come Dasein peruviano.

Detto questo, mentre il CEC è il centro di ricerca che riunisce professionisti e accademici, ovvero una scuola nazionale di pensiero o un think tank nazionalista che produce contenuti teorici, il Collettivo dei Giovani per la Seconda Repubblica (di seguito JSR) , è la piattaforma che mette in pratica la teoria, vale a dire, funge da spazio per la prassi, per attività congiunte in cui la ricerca ha il feedback necessario per la costruzione di un progetto politico ispirato al crisolismo, e dove si tentano a livello minimo le iniziative politiche e i programmi sociali che ci si aspetta che in futuro possano essere attuati su scala più ampia, o, ugualmente, a livello di Stato e di governo, se il Collettivo riesce a farsi Partito e ottenere il potere politico nel nostro Paese. Nondimeno, le iniziative politiche e i programmi sociali adempiono comunque a un fine di azione sociale diretta, con la premessa che le elezioni sono solo un breve momento della vita politica e che l’attività politica deve accompagnare la comunità sociale durante tutta la sua esistenza, comprendendo la politica autentica come l’esercizio del potere per la realizzazione di un obiettivo trascendentale, che è la sicurezza e il benessere del popolo. E quest’ultimo può essere raggiunto senza necessariamente occupare una carica pubblica, come in modo altrettanto ampio e analogo – e con le chiare differenze del caso rispetto allo scenario latinoamericano –, hanno dimostrato i collettivi identitari europei con le loro opere di assistenza sociale. Non esiste propaganda politica migliore dell’azione sincera e diretta, rispetto alle vuote promesse.

Attualmente, il coordinamento nazionale di JSR è responsabilità del Direttore dell’ufficio stampa della CEC, Giannini Neria, specificando che questo gruppo ha iniziato le attività il 28 luglio 2017, con una presenza in quattro dipartimenti del Perù (Lima, Piura, Lambayeque e Trujillo), così come il CEC.

2) Quali sono le vostre principali radici e ispirazioni ideali, e il vostro paradigma politico?

Dato che l’approccio crisolista allo studio ha una visione olistica, le nostre fonti di ispirazione sono varie, al fine di supportare una dinamica di sintesi integrale che ci consenta di costruire modelli teorici che sono in accordo con la nostra realtà nazionale. È per questo motivo che la nostra lista è lunga, ma – a livello nazionale – inizia prima con i pensatori peruviani che vanno dall’Inca Garcilaso de la Vega (1539-1616) con cui nasce la peruvianità come principio, passando per Victor Andrés Belaunde (1883- 1966) con le sue opere Peruvianità e La Sintesi Vivente, pubblicate rispettivamente nel 1942 e nel 1950, e dove si afferma che «il peruvianesimo supera l’ispanismo puro e l’indigenismo puro … Il Perù è una sintesi vivente; sintesi biologica … economica … politica … spirituale. Noi peruviani siamo ispanici e indigenisti allo stesso tempo»; a cui si unisce José Antonio del Busto Duthurburu (1932-2006) col suo lavoro Tre saggi peruvianisti che ci dice: «La cultura occidentale è il nostro genere prossimo e la cultura andina la nostra differenza specifica. La cultura occidentale ci rende uguali a tutti i paesi occidentali, ma la cultura andina ci rende unici tra tutti i paesi del mondo»; continuiamo con Alberto Wagner de Reyna (1915-2006) che nel suo lavoro Filosofia in Iberoamerica ​​afferma: «In altre parole: l’indigeno è la materia; l’ibero-cattolico la forma del nostro occidentalismo creolo» e termina con Fernando Fuenzalida Vollmar (1936-2011) con il suo lavoro L’agonia dello stato nazionale: potere, razza ed etnia nel Perù contemporaneo che ci dice: «Non è peruviano quello che appartiene a una determinata cultura o razza, nemmeno quelli che abitano il territorio del Perù, perché tra loro ci sono quelli che negano la loro nazionalità e hanno le loro menti a Miami. Sono i peruviani che vogliono esserlo e che riconoscono questo come la loro nazionalità. Questo è ciò che unisce un cittadino della classe media di Lima, un contadino di Huancavelica, uno di Puno o un machiguenga della giungla peruviana.» Questi come principali tra molti altri peruvianisti come Mariategui, Victor Raul Haya de la Torre, Gonzales Prada e Flora Tristan.

Al pensiero peruviano, aggiungiamo le opere della Patria Grande, per citare alcuni esempi particolari, tenendo presente gli studi degli argentini attivi e militanti Marcelo Gullo e Alberto Buela. La teoria dell’insubordinazione fondante e la teoria del dissenso, rispettivamente, a cui si unisce il teorico della sinistra nazionale, anch’egli argentino, ora deceduto, Jorge Abelardo Ramos. Fanno tutti parte del nostro patrimonio teorico.

Nel campo del pensiero universale, invece, recuperiamo Spinoza e la relazione che stabilisce tra Filosofia e Politica; Hegel e la sua concettualizzazione dell’identità che forma il nazionale; Heidegger e la sua analisi ontologica del Dasein (a cui si uniscono alcuni pensatori esistenzialisti come Kierkegaard e Ortega y Gasset); José María de Alejandro e la simbiosi epistemologica tra conoscenza e personalità; d’altra parte, abbiamo un approccio critico e di valutazione oggettivo nei confronti di vari pensatori del pensiero socialista tanto utopico (Henri de Saint-Simon, Charles Fourier) quanto scientifico (Marx, Lenin, Stalin, Mao, Deng Xiaoping, Kim Jong-Il); dal socialismo cristiano pre-Marx (Tommaso Moro, Tommaso Campanella, Robert de Lamennais) e del cattolicesimo sociale (Leone XIII, Pio XI, Wilhelm Emmanuel Freiherr Von Ketteler), così come di alcuni pensatori del corporativismo filosofico e del futurismo (Giovanni Gentile, Filippo Tommaso Marinetti, Gabriele D’Annunzio), del distributivismo (Hilaire Belloc, G. K. Chesterton e Arthur Penty) e del nazionalsindacalismo (José Antonio Primo de Rivera, Onesimo Redondo, Ramiro Ledesma Ramos) e della cosiddetta Rivoluzione conservatrice (Werner Sombart, Ernst Junger, Oswald Spengler e Carl Schmitt), giungendo infine ad alcuni pensatori contemporanei come i defunti Guillaume Faye, Dominique Venner e Costanzo Preve, nonché gli attivi e militanti Aleksandr Dugin, Alain de Benoist e Diego Fusaro.

Ma soprattutto, è molto chiaro che il nostro approccio ermeneutico (che è critico nei confronti delle teorie politiche della modernità, cioè con liberalismo, conservatorismo, comunismo e fascismo) ci avvicina al progetto della Quarta Teoria politica del filosofo, politologo e geopolitico russo Aleksandr Dugin, senza tuttavia costituire una somiglianza completa, ma piuttosto un’ispirazione creativa che ha preso la forma del citato crisolismo come fenomeno teorico-politico esclusivo peruviano e come contributo al patrimonio teorico latinoamericano.

Pertanto, con tutti gli antecedenti del pensiero nazionale e universale, il crisolismo costituisce un progetto della Quarta Teoria Politica peruviana che si basa sui seguenti cinque principi fondamentali:

In ambito politico

  1. Un nazionalismo integrale e con coscienza nelle grandi masse popolari e alla base di un autentico internazionalismo.
  2. Una democrazia illiberale del merito e la piena partecipazione politica che attraversa i confini dei partiti e integra sindacati dei lavoratori, collegi professionali, università. Fase di transizione che ci condurrà alla laocrazia (il potere del popolo in opposizione alla democrazia liberale, il governo delle lobby), lo Stato come strumento del popolo.

In ambito socio-culturale

  1. Una sana identità nazionale come riconoscimento degli aspetti trascendentali dei popoli che non solo riconosce la particolare identità dei gruppi etnici e il sincretismo culturale (Unità nella Peruvianità), ma anche l’identità generale dei popoli in un intero chiamato Ibero-America (Unità nella Iberoamericanità), sostegno all’idea di Patria Grande.

In ambito economico

  1. Un’economia nazionalista che scaturisce dal particolare contesto socio-culturale della nostra Runa Llaqta (gente in quechua) e che orienta l’economia di mercato verso un fine trascendentale, un’esperienza simile al socialismo con peculiarità cinesi.
  2. Una razionalità economica integrale, che mette in conversazione Marx (socialismo classico) e Jose Antonio Primo de Rivera (sindacalismo nazionale), per una sintesi umana (un socialismo patriottico e/o un nazionalismo rivoluzionario), che sostiene una visione che abbia ben chiaro che la ragione di ogni lavoro è l’acquisizione della proprietà e che sia la proprietà privata che quella collettiva possono coesistere pacificamente, ribadendo il fatto che la proprietà capitalista è il vero generatore di discordia sociale.

In ragione di quanto esposto, il crisolismo come teoria politica riconosce quanto risultano inutili oggi le posizioni anticomuniste tanto quanto antifasciste, considerandole obsolete nel nuovo contesto geopolitico. La realtà è che essere anticomunisti e antifascisti, in uno scenario in cui non esiste più una lotta di questi sistemi per l’egemonia globale, significa rendere invisibile il sistema egemonico: il liberalismo in tutte le sue forme. Per queste ragioni, è anche contro la tricotomia della globalizzazione, in essa: 1) l’individualismo come proposta etico-morale; 2) il capitalismo liberale come sistema socioeconomico; e 3) la democrazia liberale come forma di governo.

3) Come vedete la situazione politica in Peru, e quali sono le principali sfide che dovete affrontare?

In Perù siamo in una fase di cambiamenti, dopo lo scioglimento del Congresso il 30 settembre 2019 e l’elezione di uno nuovo il 26 gennaio di quest’anno, entriamo in un periodo di relativa stabilità politica.

Sebbene in Perù, non abbiamo avuto un episodio di tumulti sociali come in Cile ed Ecuador, ciò è dovuto principalmente a una protesta permanente, attraverso tre valvole di sfogo:

  1. Informalità lavorativa, che costituisce circa il 72% e funge da decompressore delle richieste, poiché questo espande l’offerta di lavoro ma senza diritti lavorativi, generando una bassa riscossione delle imposte per pagare la spesa pubblica, motivo per cui i servizi pubblici sono di scarsa qualità, ma neanche si reclama presso lo Stato, a causa della stessa informalità che evita di pagare le tasse.
  2. La lotta alla corruzione, che ha portato alla convocazione di un referendum per i cambiamenti a livello di riforma politica, a causa degli scandali di corruzione legati al caso Odebrecht e all’esecuzione del Fujimorismo al Congresso, che si è conclusa con lo scioglimento costituzionale di questo ultimo.
  3. Un governo negoziatore, che a differenza di altri nella regione, ha ceduto a molte richieste della popolazione al primo segno di protesta, poiché l’attuale presidente Martin Vizcarra, senza partito o maggioranza al Congresso, dipende interamente dall’opinione pubblica.

Dopo questi eventi arrivò la dichiarazione di emergenza nazionale e con essa furono prese misure esecutive per contenere l’espansione di Covid-19. Ciò che è interessante è che i cambiamenti che questo ultimo contesto sta generando non sono il prodotto di una logica strategica dello Stato, ma della reazione al controllo degli effetti della pandemia e di come questa situazione di prassi abbia sollevato i molteplici problemi che esistono a livello dei servizi pubblici, in particolare della sanità pubblica e della sicurezza sociale.

D’altra parte, questo ci ha anche fatto vedere l’esistenza di una scarsa supervisione a tutti i livelli e, soprattutto, un divario ancora profondo tra ricchi e poveri, motivo per cui il governo sta valutando un’imposta sul patrimonio, che sebbene sia inteso come temporaneo, è qualcosa che in un periodo di normalità sarebbe stato impensabile da considerare e che si sta verificando nel contesto della crisi. Noi peruviani siamo pienamente consapevoli che esiste un problema nevralgico che merita una soluzione finale, nel senso che sebbene la nostra economia sia cresciuta costantemente per quasi due decenni, gli effetti di tale crescita sono stati disomogenei. In altre parole, la lotta alla disuguaglianza è la nostra principale preoccupazione.

In Perù, le persone non hanno lo stesso valore, ha dichiarato la nostra attuale Ministro dell’Economia María Antonieta Alva su questa linea. Di conseguenza che il nostro modello di economia sociale di mercato (ESM) è stato tutt’altro che sociale, da quando è stato istituito come modello economico nella nostra Costituzione del 1993 durante la dittatura liberale di Alberto Fujimori. Ha solo dato peso alla libertà economica, lasciando completamente da parte la giustizia sociale, che è un principio fondamentale del modello teorico originale di ESM (che deduciamo di certo fu opportunamente soppresso dal Fujimorismo al momento di dettare la Costituzione), senza il quale non si può parlare di economia sociale. Ciò con le iniziative dell’attuale governo è variato un po’, nel senso che questo approccio sociale si sta riprendendo. Tuttavia siamo ancora molto lontani da esso, essendo quella la principale sfida che tutti i peruviani hanno: esigere l’istituzione di una reale economia sociale che ponga definitivamente fine alle disuguaglianze, essendo questa una delle principali richieste del Collettivo dei Giovani per la Seconda Repubblica.

Per ora, la sfida dell’attuale governo è la progressiva riattivazione della nostra economia post-pandemia, nonché la mitigazione degli effetti della recessione globale che arriverà presto.

4) Come vedete la situazione dell’America Latina e quali sono le vostre prospettive di integrazione continentale?

Il crisolismo come alternativa è anche una proposta di liquidazione di un progetto identitario, incompiuto, iniziato e formulato con la dissoluzione del Vicereame del Perù e la instaurazione di repubbliche indipendenti, ma mai concluso in tutta la sua essenza. Il crisolismo considera che la base per l’integrazione dei popoli latinoamericani deve cominciare prima da una ragionevole comprensione dell’essenza identitaria locale, che darà luogo a un’integrazione interna, nazionale, come base minima senza la quale un’integrazione più ampia non potrà manifestarsi a livello di tutta l’America Latina.

Questa comprensione identitaria va ad affermare che nel caso del Perù, come della Latinoamerica in generale, la nostra identità è conseguenza di un sincretismo composto dalle tradizioni ispaniche/europee e le tradizioni andine, amazzoniche e africane, con maggior proporzione delle une o delle altre a seconda di ciascun contesto. È per questo che filosofi come Alberto Buela Lamas parlano di una Indoiberoamerica come concetto più preciso che quello di Iberoamerica, e questo a sua volta più di quello di Latinoamerica. Occorre quei menzionare l’enorme differenza rispetto allo scenario europeo. Mentre la multiculturalità si presenta in Europa come una minaccia alla sua identità originaria, in America Latina si costituisce come la sua realtà esistenziale, per il processo di meticciato (tanto biologico quanto culturale) che viene dai tempi della colonizzazione spagnola.

Posta la corretta comprensione di questo scenario identitario, si potrà lavorare a un’identità maggiore, dato che molte nazioni sono prigioniere di un’alienazione che è scaduta nel già noto dibattito sulla dicotomia ispanismo-indigenismo. Le nazioni della Latinoamerica devono tendere a una visione sincretica. Nel caso del Perù, si opta per il peruvianismo che è precisamente la sintesi tra le suddette visioni apparentemente contrarie, e il cui conflitto palpabile si è visto nell’incarnazione della lotta tra la campagna e la città, nel periodo 1980-2000, rispetto al terrore provocato dal gruppo terrorista Sendero Luminoso.

Un caso pacifico rispetto a quello precedente, ma simile nella sua essenza, è il referendum autonomista boliviano del 2008, che tentava l’indipendenza di una delle regioni della Bolivia rispetto al Paese, similmente al modello di autonomia spagnolo. Mi sto riferendo all’autonomia della regione di Santa Cruz, che è uno dei Dipartimenti della Bolivia con la maggior presenza di cultura ispanica.

Non importa se parliamo di una colombianidad, quando sappiamo che questa si identifica quasi nella sua totalità con una visione ispanista, o di una bolivianidad quando sappiamo che la visione indigenista è maggioritaria; l’importante è riconoscere il sincretismo e queste categorie semantiche aiutano a renderlo visibile, che è la base per concepire l’identità maggiore dell’intera Latinoamerica.

Nella stessa linea argomentativa, avendo compreso l’identità minore di ciascuna nazione della Latinoamerica, base dell’identità maggiore, si potrà ottenere una reale integrazione dei popoli della Nostra America, che al momento, quale prodotto di una visione commerciale, è solo di carattere economico e/o amministrativo: CAN, MERCOSUR, UNASUR, ecc. Senza integrazione culturale, identitaria, non c’è integrazione reale.

Questa integrazione reale si potrà plasmare in futuro, in una necessaria Confederazione di Nazioni Latinoamericane (CONFENAL) e/o Unione di Nazioni Sudamericane (UNASUD) e il sorgere di un solo blocco geopolitico, per la reale e autentica difesa degli interessi, aspirazioni e sovranità dei popoli della Latinoamerica di fronte ai colpi degli imperialismi, a malapena conosciuti, menzionando esempi concreti, come l’enorme presenza di basi militari nordamericane in lungo e in largo per il continente sudamericano (come vividi ricordi dell’Operazione Condor, la Scuola delle Americhe e la Dottrina di Sicurezza Nazionale durante la Guerra Fredda), e l’intermittente presenza di militari israeliani nella Patagonia argentina e cilena.

Di fronte all’Imperialismo delle talassocrazie o poteri marittimi, il cui unico obiettivo è l’apertura di rotte commerciali e di controllo economico, le nazioni della Latinoamerica debbono contrapporre l’idea di Impero o Imperialità, delle loro società ancestrali, che è la diffusione di cultura, spiritualità e civiltà.

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