Intervista a Esteban Montenegro di Nomos

 

Intervista a Esteban Montenegro di Nomos

Pubblichiamo una interessantissima intervista a Esteban Montenegro, uno dei responsabili di Nomos, realtà dell’Argentina dedicata agli studi e alla diffusione del pensiero politico alternativo, a cura di Andrea Virga, nell’ottica di una condivisione di idee e proposte culturali al di fuori dei confini nazionali, uno degli obiettivi che fieramente ci impegniamo a portare a compimento.

1) Presenta te stesso e la tua organizzazione: come è articolata, da quando esiste e qual è la sua dimensione.

In primo luogo, vi ringraziamo per l’intervista e inviamo il nostro più caldo saluto al popolo italiano, che sta attraversando un momento difficile. Il mio nome è Esteban Montenegro, sono uno dei responsabili dell’attività editoriale di Nomos, gruppo di studi dedicato alla diffusione e alla pubblicazione del pensiero politico alternativo. La nostra formazione si situa a metà strada tra la filosofia e la geopolitica, benché non ci limitiamo a ciò che si produce strettamente in questi campi. Diciamo che ci interessa applicare una prospettiva multidisciplinare che parta dalla nostra situazione nel mondo e che tragga da essa il proprio filo condutore. Ciò detto, non riteniamo che la distinzione centro-periferia segni una discontinuità insuperabile, ragion per cui abbozziamo molte delle nostre riflessioni in dialogo con autori europei. Nel nostro catalogo contiamo sui nomi di Diego Fusaro, Alain de Benoist e Aleksandr Dugin, autori praticamente sconosciuti nel nostro Paese prima che iniziassimo questo lavoro.

Nomos esiste da metà del 2018 e ha come cassa di risonanza un gran numero di giovani con formazion accademica nelle discipline sopramenzionate e in ampi settori di militanza politica e sindacale locale. Sebbene questi si trovino dispersi per il Paese, il nucleo operativo di Nomos è a Buenos Aires e consta di 15-20 persone, ciascuna con un ruolo funzionale distinto. Bisogna chiarire che non siamo un gruppo politico tradizionale, ragion per cui non puntiamo ad aumentare il numero di membri, ma ad arrivare a più lettori con le nostre pubblicazioni. Superando le nostre stesse aspettative, abbiamo venduto migliaia di libri di pensatori considerati “maledetti” dalla stampa egemone e riceviamo ogni mese migliaia di visite sul nostro sito web, dove offriamo anche articoli nostri e traduzioni inedite.

2) Quali sono le vostre principali radici e ispirazioni ideali, e il vostro paradigma politico?

Oltre al comune interesse per gli autori europei che pubblichiamo, concordiamo anche sulla lettura dei classici della Konservative Revolution tedesca (Schmitt, Spengler, Jünger, ecc.) e il gusto per le fonti della filosofia occidentale. Però fondamentalmente condividiamo una formazione legata al pensiero e alla filosofia nazionale del nostro Paese e la necessità di recuperare i suoi contributi, tanto validi quanto dimenticati. Ci riferiamo a Carlos Astrada [1894-1970] e Nimio de Anquín [1896-1979] a livello di filosofia, e a Juan Enrique Guglialmelli [1917-1983] e Norberto Ceresole [1943-2003], per la geopolitica, solo per nominarne alcuni. Inoltre, tanto la nostra storia personale quanto le nostre elaborazioni teoriche si inseriscono nell’orizzonte simbolico del peronismo, che, al di là della sua dottrina (non sempre studiata) , configura una matrice storica di possibilità filosofico-politiche che eccedono di molto quanto scritto.

3) Come vedete la situazione politica in Argentina, e quali sono le principali sfide che dovete affrontare? Quanto rimane dell’eredità politica di Perón?

La situazione argentina è sempre preoccupante perché siamo una nazione incompiuta, che non ha ancora forme istituzionali che permettano di indirizzare le sue potenzialità in un senso ascendente o, per lo meno, costante. A ciò si aggiunge una realtà sociale molto deteriorata e una struttura economica dipendente. Questa è una situazione comune a tutta la «Nostra America», come la chiamava Martí.

L’elemento peculiare del nostro Paese è il peronismo, che esprime ancora oggi un ampio ventaglio di organizzazioni politiche, sindacali e sociali diverse, ma con una memoria più o meno comune come base. L’eredità politica di Perón sta nel popolo stesso, così come aveva chiarito lui stesso. Sarebbe un errore ridurla a dirigenze specifiche. Semmai avviene il contrario, ci sono dirigenze specifiche che vanno legittimandosi nel suo lascito collettivo, con risultati diversi a seconda del caso. Oggi c’è un nuovo governo che si regge sull’unità di tutti gli attori istituzionali e partitici che si identificano con il peronismo. A pochi mesi dall’insediamento sta affrontando una pandemia e una crisi economica molto dura, paragonabile a quella che attraversammo nel 2001. A giudicare dai disastri che si vedono in altre latitudini, sta prendendo misure corrette. Altro non possiamo dire al momento.

Per chi non conosce la situazione dall’interno, possiamo accennare qualche carattere vago e generale. Si potrebbe dire che l’attuale dirigenza peronista possieda una strategia gradualista, distinta da quella di Perón, che consistette nel varare misure strutturali fin dal primo momento. Questo si può mostrare adeguato in tempo di normalità, se si espone in maniera intelligente, poiché permette di superare la “restrizione esterna” con nuovi negoziati sul debito estero e una crescita del PIL che annacqui il suo costo reale. Ma dato che la crisi aumenta il rischio sistemico, è probabile che la realtà ci obblighi a dare qualche “colpo di timone” – ragione per cui i settori di responsabilità istituzionale devono analizzare i distinti scenari e le misure possibili adeguate ad essi. Improvvisare in tempi normali ha un costo, ma in situazioni critiche può essere letale.

Come Nomos, la nostra sfida principale di fronte all’attualità politica è intervenirvi concettualmente in forma indiretta, per illuminare le possibilità latenti nelle nostre tradizioni politiche che orientino la presa di decisioni in funzione dell’interesse e della realtà nazionale, e distanti dalle esigenze ormai scadute dell’egemonia liberale, sia questa proposta da destra (neoliberista) o da sinistra (progressista).

4) Come vedete la situazione dell’America Latina e quali sono le vostre prospettive di integrazione continentale?

La situazione continentale presenta una seria mancanza di stabilità politica come risultato dell’assenza di pianificazione strategica nelle classi dirigenti, determinata dall’opportunismo e dalla promozione di interessi economici che attentano al bene comune. Quando le crisi diventano insopportabili, certe rivolte e piazzate inorganiche scuotono lo status quo, ma solo per dare luogo a nuove forme di gestione dei vecchi interessi. In alcuni Paesi, la decomposizione sociale che tutto questo provoca ha portato a situazioni dove strutture parassitarie marginali sostituiscono le funzioni essenziali che lo Stato ha trascurato e rappresentano de facto la frammentazione territoriale del suo potere. Poiché la pandemia andrà ad aggravare questo scenario, la situazione acquisisce contorni drammatici.

Nemmeno le prospettive immediate d’integrazione sono buone. Sebbene l’orizzonte continentale sia il quadro più appropriato che si possa immaginare per concepire lo sviluppo totale della potenza della Nostra America, quel che è certo è che nell’immediato i forum regionali vanno sostenendo proposte che tengono a stabilire trattati di libero commercio perniciosi per le industrie locali. Recentemente, l’Argentina ha posto al limite della rottura del Mercosur il rifiuto a piegarsi a questo tipo di proposte. Il che mostra che la Realpolitik va sempre di pari passo con le intenzioni ideologiche che ci portiamo dietro. L’unità continentale non può andar contro l’unità nazionale né contro gli interessi propria a ciascuno Stato membro. In caso contrario, replicheremmo l’esperimento antidemocratico dell’Unione Europea, dove gli interessi determinanti sono quelli del potere economico. Dobbiamo tendere all’integrazione, però questo non può costituire una regola astratta generale, valida in qualsiasi forma e in qualsiasi caso. Purtroppo, in generale l’Idea di unità continentale non parte dallo studio della realtà, ma da una semplice espressione di desiderio. In questo senso, è molto quello che c’è ancora da fare.

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