La deriva narcisistica dell’economia e la globalizzazione deviata

Nel 1971 la celebre casa editrice londinese Penguin pubblicò un volume curato da Kurt Wilhelm Rothschild. Tra i contributi del libro, uno era stato scritto nel 1950 da François Perroux e si intitolava The Domination Effect and Modern Economic Theory.

L’economista francese, in quelle pagine, sosteneva che «l’economia è guidata non solo dalla ricerca del guadagno, ma anche dalla ricerca del potere». In effetti, a ben pensarci, la vita economica non può essere considerata un insieme di rapporti di scambio. Piuttosto, essa pare la risultante di un campo di forze, nel quale «domanda» e «offerta» si incontrano, ma sempre perché tale incontro è frutto di un rapporto di potere.

Qualche esempio: un’impresa esercita la sua influenza sulle decisioni in materia di prezzi o distribuzione di un’altra, magari più piccola o da meno tempo costituita; un settore dell’economia provoca un innalzamento (o un abbassamento) dei costi o dei prezzi in un altro settore dal quale però, non subisce influenze comparabili per portata e intensità; una Nazione impone ad un’altra (in un rapporto di forza asimmetrico) beni/servizi o un certo modo di produzione o di scambio.

Questo squilibrio di forze, nel Terzo millennio, è stato moltiplicato dal peso specifico che l’economia ha progressivamente aumentato rispetto a tutti i tradizionali riferimenti della società: la politica, la religione, la tradizione, l’ideologia. La “costellazione di interessi” ‒ di cui parlava Max Weber ‒ si è drasticamente semplificata in una polarizzazione pericolosa: «domanda» e «offerta».

Tutto ciò è successo perché l’“economico” da aspetto particolare della vita, è divenuto mentalità dominante e principio formante delle relazioni sociali. Con il trionfo dell’economia sulla politica ‒ consumatasi sull’olocausto dello Stato-Nazione disintegrato dalla globalizzazione e dal connesso neoliberismo ‒ la società liquida, per dirla con Bauman, si è data una nuova ideologia totale (o se preferite, un nuovo totalitarismo): l’economia.

Non più quella “politica”, ma quella della peggior specie, improntata su una tecnica economica distante ormai anni luce dai postulati classici dell’economia politica poiché resa “finanziaria” e “virtuale” dall’evoluzione dei mercati internazionali. Ciò ha tagliato ogni spazio alla solidarietà, al welfare, al “reale” insomma.

Basta guardarci intorno: lo sviluppo della cultura è impostato sul controllo dello spazio attraverso la comunicazione globale ‒ del web e del tempo ‒ attraverso l’enfasi di un presente che trascura il passato (cioè la traditio) e riduce il futuro ad un presente esteso; il legame sociale è ridotto alla provvisorietà e alla superficialità dell’interesse e del calcolo; il disegno di una “società globale” ‒ che è stato imposto nell’ultimo trentennio ‒ non ha affatto realizzato l’emancipazione dell’umanità ma, piuttosto, creato solo maggiore spazio per gli interessi delle élite dominanti a danno del “popolo” forzatamente globalizzato; il microcosmo della vita quotidiana è stato abbandonato all’interesse e al calcolo individuale ricadendo in un “tribalismo primitivo” che nei social media mostra i suoi peggiori aspetti (esibizionismo, bullismo, culto dell’effimero, etc.).  

In estrema sintesi, ideologizzandosi, l’economia ha sconvolto l’equilibro tra l’Io e il Noi che era alla base della precedente società moderna. In quella post-moderna, invece, il Noi è diventato il prodotto del calcolo e della combinazione: esso non riesce più a limitare il narcisismo dell’Io e il feticismo delle merci che invece sono deflagrati imponendo la ricerca della felicità solo in ciò che si consuma.

E così la globalizzazione si è rivelata come un processo imposto e deviato da una deriva narcisistica rinvenibile nel disegno inquietante dell’élite finanziaria che ha strumentalmente sostituito il pubblico con il pubblicitario, la continuità con la contemporaneità, il pellegrino col turista, il cittadino con l’avente diritto, la rappresentanza libera con quella degli interessi e così via. E ponendo in un angolo tutti gli eretici che, coraggiosamente, continuano a cercare un nuovo centro di gravità permanente.

Occhio, però, non è detto che non lo trovino.


Editoriale

 

Ricostruire l'unità nazionale

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Siamo alle solite. In Italia siamo troppo occupati ad affrontare temi marginali o impostici da altre nazioni per renderci conto della grave situazione in cui versa la nostra nazione. Purtroppo tutto questo accade perché a nessuno dei cosiddetti politici, né alle istituzioni interessa nulla dell’Italia; basti pensare alla scomparsa in tutte le scuole di ogni ordine e grado della storia, della grande cultura classica ed umanistica, base e fondamento sia del nostro percorso unitario che della nostra profonda identità.

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La Spina nel Fianco

 

L'ethos del cameratismo

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