Dalla "concertazione" agli "stati generali" - i corpi intermedi esclusi dalle decisioni

Il presidente Conte ha organizzato quello che pomposamente (ma anche jettatoriamente, ricordando quelli della rivoluzione francese) ha definito “Stati Generali” con la finalità apparente di ascoltare le richieste di tutte le categorie produttive e dei cosiddetti “esperti” al fine di elaborare un programma di ripresa dell’Italia dopo i danni economici e sociali causati dall’epidemia. Ma, in realtà, egli non intende realmente ascoltare e recepire le indicazioni degli invitati – a porte chiuse, senza verbali, senza rapporti pubblici – che si sforzano di fornirgli: piuttosto, è lui che espone ciò che intende fare, anche sulla base delle relazioni degli esperti da egli stesso nominati, presieduti dal dott. Colao, peraltro residente in Gran Bretagna.

Tra gli invitati a questi incontri vi sono anche, accuratamente separati tra loro sia all’interno della categoria sia come parte economica, le organizzazioni sindacali e quelle imprenditoriali: alcune di esse hanno espresso perplessità pur partecipando agli incontri, altre non hanno neanche ritenuto di parteciparvi.

In realtà, questo metodo di confronto attuato dal presidente Conte ha una precisa finalità: proprio quella di escludere le Parti Sociali, che poi sono i “corpi intermedi” di una società civile ed economica, da qualsiasi decisione. E lo fa pur sapendo che in passato, in condizioni anch’esse difficili come quelle successive alla crisi di “tangentopoli”, alla fine della guerra fredda, alla svalutazione della lira causa attacchi finanziari, agli attentati della mafia, si era attuata un’altra procedura. Il governo presieduto dall’ex-governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi (poi divenuto presidente della Repubblica) aveva avviato nel 1993 la cosiddetta “concertazione” con i sindacati e i datori di lavoro. Questo termina significava che nelle materie più importanti che riguardavano sia i problemi generali dell’economia nazionale sia le questioni attinenti a normative giuslavoriste, retribuzioni, occupazione, investimenti il governo avrebbe presentato le proprie proposte alle Parti Sociali le quali, sia con un confronto bilaterale tra di loro sia con incontri triangolari con il governo, avrebbero formulato osservazioni ed emendamenti sulla base di valide motivazioni. Il governo, prendendone atto, avrebbe rettificato le proprie proposte presentandole poi al Parlamento per l’approvazione formale.

Da un certo punto di vista pratico, questo sistema della “concertazione” è molto simile al sistema corporativo istituito dal Fascismo quando i provvedimenti tecnico-economici venivano valutati, modificati, integrati dal confronto istituzionalizzato cosiddetto “tripartito”: governo e partito, sindacati, datori di lavoro.

La concertazione avviata il 23 luglio 1993 da Carlo Azeglio Ciampi con un accordo definito “Patto per la politica dei redditi e lo sviluppo” ebbe una continuità che perdurò fino al 2011, quando la nomina di Mario Monti seppellì definitivamente quella pratica. Con il governo Dini si fece nel 1995 la riforma pensionistica che vige ancor oggi; con il secondo governo Berlusconi e il ministro del lavoro Maroni si fecero le modifiche alle tipologie dei rapporti di lavoro studiate dal prof. Marco Biagi, ucciso poi dalle “Brigate Rosse”; sempre Maroni avviò effettivamente la previdenza complementare la cui legge operativa del 2005 ebbe la partecipazione attiva di ben 25 organizzazioni tra sindacati e datori di lavoro. Ciò proseguì con il governo Prodi e il ministro del lavoro Damiano, per modificare l’età di pensionamento in base ai lavori svolti; si riprese con l’ultimo governo Berlusconi, ministro del lavoro Sacconi, per elaborare il nuovo testo unico sulla sicurezza sul lavoro. Da segnalare che il ministro Sacconi, prima della fine di quel governo, avviò anche uno studio per la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e il 9 dicembre 2009 le Parti Sociali sottoscrissero – dopo averlo concordato - un “avviso comune” in cui fra l’altro è detto: “l’economia della partecipazione è la soluzione che concilia la solidarietà tipica del modello sociale europeo (che allora ancora c’era) con l’efficienza richiesta dal mercato globale…presuppone e determina un modello d’impresa sempre più attento al valore della persona e un modello di sindacato quale soggetto attivo dello sviluppo e della diffusione del benessere…la partecipazione dei lavoratori ai risultati dell’impresa può contribuire a fidelizzare i dipendenti e stimolare la qualità della produzione…”

Poi vennero le dimissioni “consigliate” al governo Berlusconi e l’avvento del “podestà straniero”, come si era definito, Mario Monti. Da allora, la “concertazione” non fu più attuata e il primo risultato si vide con la riforma delle pensioni della Fornero, fatta male e dannosa, che richiese ben dieci aggiustamenti legislativi successivi. 

Perché è bene tener presente che la concertazione, se fatta con serietà d’intenti da tutte le parti, ha il pregio di far decidere sulle nuove norme da chi conosce la realtà dei fatti perché la vive quotidianamente nel ruolo che riveste, e ciò evita anche errori o inapplicazioni.

C’è qualcosa di questo negli “Stati Generali”? A noi non sembra: essi, anzi, sono stati convocati proprio per neutralizzare le proposte e le osservazioni critiche dei “corpi intermedi” ponendole di fronte al fatto compiuto del programma elaborato dalla Commissione Colao e non stipulando alcun accordo, sia pure di massima.

Che poi, a volerlo ulteriormente precisare, è esattamente il contrario di quello che facevano gli “Stati Generali” francesi, prima di fare la rivoluzione: ossia proporre al governo misure in materia fiscale e di regolamentazione del commercio e delle attività, allora articolate nelle “Corporazioni d’arti e di mestieri”.

Insomma, si tratta di una colossale “cortina fumogena” mediatica che però potrebbe rivelarsi un “boomerang” rispetto ad aspettative non esaudite.


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