Agitazione sindacale nella BNL già protagonista dell'economia italiana

Mercoledì scorso tutti i sindacati dei dipendenti della Banca Nazionale del Lavoro hanno organizzato un presidio dinanzi la direzione generale di Roma - in Via Veneto, a fianco del Ministero dello sviluppo economico (già Ministero delle Corporazioni) - per protestare contro il piano di riorganizzazione della banca. I sindacati, in un comunicato diffuso dalle agenzie stampa, criticano la gestione attuale “che definire pressappochista, disorganizzata, inefficiente sarebbe un complimento: essa ha creato un marasma in cui proprio tutti sono disorientati e scontenti, i clienti e i lavoratori i quali stanno pagando a caro prezzo le scelte scellerate di una dirigenza”. Parole assai pesanti, che in genere non vengono usate nei comunicati sindacali, soprattutto del settore del credito, nei quali si formulano critiche e si indicano soluzioni ma non si attacca così pesantemente la dirigenza.

 Essi affermano anche che le inefficienze palesi della ristrutturazione in atto sembrano non interessare all’azienda e alla sua “casa madre” in quanto “non può essere solo frutto di manifesta incapacità perché ci deve essere un disegno”. In effetti, poiché non è credibile che la coppia di amministratori, un vecchio “lupo” sempre presente in tutte le situazioni gestionali come l’ex-presidente della Confindustria e della fallimentare gestione de “Il sole 24 ore” Luigi Abete e l’esperto di amministrazioni finanziarie come il “bocconiano” Andrea Munari, siano degli sprovveduti improvvisatori, è pensabile che le direttive giungano dalla “casa madre”, come indicato nel comunicato.

 La quale è la banca francese “BNP-Parisbas” che ha acquisito la BNL nel 2006, dopo un fallito tentativo di cessione all’italiana “Unipol” che costò anche il posto di governatore della Banca d’Italia ad Antonio Fazio perché aveva tentato di favorire la banca delle cooperative italiane: cosa che avrebbe ricondotta la BNL alla sua funzione originaria.

 Essa, infatti, ha una lunga e gloriosa storia che la fa inserire a giusto titolo nello sviluppo dell’economia nazionale. Fondata nel 1913 quale “Istituto Nazionale per il Credito alla Cooperazione”, fu salvata nel 1925 dalla crisi postbellica per iniziativa dell’esponente fascista Roberto Farinacci il quale fece nominare direttore generale un esperto amministratore, Arturo Osio, che rimase in carica fino al 1942. Nel 1929 assunse l’attuale denominazione di “Banca Nazionale del Lavoro”, fu definita “Istituto di credito di diritto pubblico” partecipata dal Governo e dalla Banca d’Italia e fu molto legata ai sindacati fascisti e agli istituti previdenziali tra cui l’INPS. Confluita nell’IRI, si specializzò tra l’altro nel finanziare la nascente industria cinematografica tramite una sua “Sezione Speciale” e contribuì all’EUR con l’edificazione del Palazzo della Civiltà del Lavoro e del Palazzo dei Congressi.

 Nel dopoguerra, sempre nell’ambito dell’IRI, tra le altre iniziative finanziò l’ENI di Enrico Mattei e il fondo di dotazione della Cassa per il Mezzogiorno. Nel 1992, intervenuta la svendita del patrimonio nazionale italiano dell’IRI (anche a seguito della ben nota riunione sul panfilo “Britannia” …) venne quotata in borsa finendo, dopo vari passaggi, ai francesi della BNP-Parisbas.

 La riorganizzazione in atto, come denunciato dai sindacati interni, ha evidentemente la finalità di ridimensionare il ruolo della banca, seguendo il solito sistema dei partecipanti stranieri: conservarsi i bocconi migliori e cedere o smontare il resto degli interventi che invece sarebbero più utili alle famiglie, alle piccole industrie, agli artigiani (settore in cui un tempo la BNL era specializzata). E, infatti, nel loro documento i sindacati affermano che la direzione intende solo tutelare la “clientela meritevole”. Si tratta quindi di un altro gioiello dell’economia italiana che viene progressivamente smantellato dinanzi al silenzio complice della “Banca d’Italia” e del ministero dell’economia e finanze.


Editoriale

 

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