La fiera delle vanità: il femminismo incontra Hollywood

 

La fiera delle vanità: il femminismo incontra Hollywood

Dopo lo scoppio dell’affaire Weinstein l’ondata giustizialista che ha investito il mondo dello spettacolo sembra non volersi arrestare e ce ne hanno dato conferma gli ultimi Golden Globes aggiungendo un altro tassello allo psicodramma hollywoodiano targato #metoo: le dive della Versailles del XXI secolo, infatti, hanno deciso di sfilare rigorosamente in nero per pubblicizzare l’ennesimo messaggio femminista: time’s up, il tempo è finito. Per cosa? Per le molestie sessuali.

E’ indubbio che denunciare violenze e ricatti sul luogo di lavoro sia un atto onorevole per chiunque, uomo o donna che sia, se non fosse che in questo caso le accusatrici sono le stesse che per anni hanno avallato con la propria omertà un sistema marcio e corrotto fino al midollo solamente per trarne un vantaggio in termini di carriera, ridicolizzando in tal modo chi una violenza sessuale o un licenziamento ingiusto lo ha davvero subito.

Asia Argento e le sue amiche non sono delle eroine né delle pasionarie, ma le degne eredi di Erodiade e Salomè e la riprova sta tutta nella investitura mediatica, prima che politica, di Oprah Winfrey, donna e nera, a nemesi di Trump, il mostro etero-patriarcale agitato dai Neocon per galvanizzare le masse democratiche.

La lotta delle principesse di Hollywood è quindi tutto tranne che autentica: è una guerra di potere, non di genere. E anche laddove prevalga la narrazione femminista su quella puramente politica, queste donne, ancora una volta, non fanno che rappresentare se stesse, pur pretendendo di farsi portavoce delle istanze dell’intero genere femminile ; senza considerare poi il fatto che le “donne”,  nonostante quello che la propaganda liberale vuole farci credere, non sono e non saranno mai una classe sociale ed è questo, a mio avviso, l’unico punto realmente rilevante dell’intera vicenda: il femminismo e le sue ricche e viziate ancelle non hanno come scopo ultimo l’emancipazione della donna (se non da se stessa), ma la distruzione della lotta di chi, uomo o donna, non ha niente contro chi ha tutto.

Cosa rappresenta Angelina Jolie per una madre yemenita o una operaia di Detroit: una donna o l’esponente di un mondo dorato costruito sulle sue spalle e sul suo sangue?

Noi propendiamo per la seconda ed è da questo assunto che occorre ripartire.

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