L’Italia di Sironi

Italia di Sironi

L’ Italia di Sironi

Il 23 novembre del 2017 il Presidente della Repubblica presenziava alla celebrazione degli ottanta anni della Città Universitaria di Roma. Personalmente la mia casa era Valle Giulia nella facoltà d’Architettura progettata dal carrarese Enrico Del Debbio, gran demiurgo del Foro italico. L’Aula Magna della città l’incontrai da docente durante una manifestazione culturale dell’Associazione Mario Maranzana, tra me e l’affresco fu colpo di fulmine. La retorica sul passato sarebbe facile quanto inutile per cavalcare il Basilisco del presente, mi solleticava invece carpire dalla TV i commenti democratici sul restauro del grande affresco L’Italia tra le Arti e le Scienze di Mario Sironi nel catino dell’Aula Magna del Rettorato. Il dipinto aveva subito lo studio celare (foga di occultare) della rinata democrazia fondata sulla Resistenza, bisognava “defascistizzare” quell’inno al passato regime, senza alcun consenso del suo irriducibile autore. C’era in proposito un esempio illustre sull’altra sponda del Tevere, Pio IV concesse “i braghettoni” a Daniele da Volterra per coprire le scandalose frattaglie del Giudizio Universale di Michelangelo, in alternativa via tutto l’affresco come soffiavano i manichei della Controriforma. Così nell’immediato dopoguerra si pensò di ricoprire in fretta quei 94 metri quadri con carta da parati un po’ come accade ad una signora sorpresa ignuda celata di balzo dal corpo del marito. Nel ’50 fu chiamato al restauro democratico certo Carlo Siviero da Napoli, prossimo ai settant’anni, su lui 11 righe della gentiliana Treccani. L’anziano pittore non si premurò di occultare soltanto i simboli dell’orco regime ma, dato che c’era, intervenne anche su molte figure alterandone fisionomie e pose, colò zucchero filato sulla loro statuaria romanità cercando di trasformarle in mammolette. Il convertito M. Piacentini si premurò d’informare del fatto il desaparecido maestro di Sassari, invitandolo a vedere il restauro finito, ricevendone un secco diniego, questione di stile d’un fascista. Nel 1990, dopo dieci anni di lavori, il pubblico tornò a rivedere il vero Michelangelo negli affreschi della cappella Sistina, compreso quel Giudizio Universale messo all’indice nel 1564. Fra cesti di polemiche sostenute da masturbazioni intellettuali, scoprivamo tutti, ora, un fatto sconvolgente: i colori di Michelangelo, inaspettati, vivi, brillanti. Il Concilio vaticano II aveva saldato il debito al grande maestro con un atto di autentica democrazia voluta da un Papa “di un Paese lontano” Karol Wojtyla. Così da quest’altra sponda ci si interrogava se togliere la censura all’affresco di Sironi in nome del rispetto per la libertà d’ espressione coniugata al recupero storico dell’opera stessa. Da una collaborazione MIUR MIbac parte il restauro nel 2015 eseguito dagli allievi dell’ISCR (Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro) forse il migliore al mondo, l’inaugurazione è alle 18 circa del 23 novembre. Si intravedono appena sullo schermo la Vittoria alata che brandisce il gladio, la sagoma del fascio intagliata nella roccia col numero XIV, il bassorilievo del duce sull’attico dell’arco trionfale. Ma non è questo, faccio zapping come Eddy Ottoz tra gli ostacoli da un Tg all’altro per orecchiare opinionii, vedo il Presidente osservare il murale, non una parola, un commento, pochi fotogrammi poi dritti ad altre mostre, sale, convegni. Il clima è talebano verso l’arte fassista, del tipo c’è ma non si deve vedere o peggio godere, sarebbe meglio abbatterla come a Palmira.

Dinanzi all’atto dovuto, un po’ come le visite al cimitero, ciascuno recita la parte, di qua i vivi compunti di là i valori forti volutamente sepolti, la Patria, l’arte nel lavoro, la scienza, l’ordine sociale, l’unità d’intenti di una Nazione, sono Gulliver, troppo alti per essere compresi in un contesto liquefatto di pseudo valori, li hanno relegati nel sonno del Paese. Mario Sironi era un gigante, artista militante antiborghese, una pietra d’inciampo anche per Farinacci. La sua è arte nasce dal popolo e vi ritorna per esaltarne valori e coraggio nel conquistarsi il primato nella Storia.

Allora, con democristiano stile , meglio tacere visto il clima minimalista dilagante, eppure“per me è uno dei maggiori artisti della nostra epoca, e la sua arte vivrà ” scriveva nel ’54 Sandro Pertini alla vedova dimenticando l’emarginazione a cui la sua parte politica l’ aveva costretto. Ha avuto ragione il Presidente dei mondiali dell’82, la sua arte pulsa ancora, ci interroga ed inquieta perché il genio è nell’anima sostantivo oggi introvabile nella materia.

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