Glossa contro l’escatologia politica – parte I

Di Lorenzo Centini

L’escatologia politica è tornata ad essere moneta comune nel dibattito politico minuto. E dal dibattito politico minuto è tornata a giroavagare nel dibattito politico internazionale e intranazionale di livello medio e alto. 

L’escatologia politica è uscita dai percorsi usuali che aveva sempre bazzicato: le chiese, i gruppi terroristici di connotazione religiosa, l’emarginazione sociale che si dava arie politiche. Sdoganata soprattutto dal conservatorismo americano – che tuttavia ne è stato soltanto il tramite storico – si è impossessata del dibattito pubblico ad un livello tale che essa compare anche in contesti e situazioni dove, apparentemente, essa non è richiesta. Ma com’è noto l’egemonia si misura esattamente quando una presenza si fa talmente asfissiante da non essere notata, dalla naturalizzazione della stessa. 

Essa è divenuta talmente naturale che ha, ormai, oltrepassato il linguaggio ed è divenuta atmosfera. Un’atmosfera ancora minoritaria sul piano completo dell’arco politico, giacché occupa soprattutto quel filone di autori, blog, gruppi e tematiche “antimainstream”, ma che non credo tarderà molto a sbarcare anche al centro, nei consessi internazionali e nella media opinione pubblica. 

Com’è riuscita l’escatologia politica a tracimare e a diventare una sensazione onnipresente? La domanda è tanto più stimolante quanto più essa ha oramai perduto qualsiasi aggancio vero con predicazioni religiose o con una teologia escatologica. Essa non ha tracimato in quanto aspetto religioso della politica ma proprio in virtù del suo aspetto escatologico. Ormai l’escatologia è diventata un genere, un modulo e una grammatica tutta a sé stante, che prende solo in prestito una coloritura teologica, ma che finisce per essere completamente secolarizzata. 

Se il suo successo non si deve ai normali circuiti della religione a cosa si deve? La risposta meno irrazionale è che essa abbia interpretato più sviluppi già presenti dentro la società occidentale, offrendo escamotage, scorciatoie e sfiatatoi emotivi a pulsioni che altrimenti non avrebbero trovato altra via di espressione. 

Stupore nello stupore, l’escatologia politica non è tornata da dove l’avevamo lasciata. Dopo il ritorno dell’Islam politico e a maggior ragione dopo l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti, l’escatologia politica è tornata forte nel mondo islamico. Partiti, gruppi e individui hanno recuperato una visione escatologica del mondo, della storia e più precisamente dello scontro tra Islam e Occidente. Ad una prima fase pienamente storicizzante (vi ricordate Bin Laden che chiamava gli americani crociati?) è succeduta una fase escatologica. L’ISIS è stata prontamente associata alle “Bandiere Nere” che avrebbero dovuto connotare un gruppo con un ruolo centrale negli ultimi tempi islamici; la guerra civile in Siria è stata letta con lenti escatologiche quando si richiamava la comune lotta di cristiani e musulmani contro le forze del Maligno in luoghi da sempre carichi di un peso escatologico – la Moschea di Damasco, le alture del Golan, etc. 

Con una tesi naturalista si potrebbe affermare che il linguaggio escatologico espresso dall’Islam e risuonato negli occidentali che conferivano una certa importanza alla Guerra Civile Siriana derivasse dall’importanza stessa del fatto storico, quasi a volerne tagliare la complessità e a ricondurlo in binari noti prevedibili – e con lieto fine. E’, lo vedremo, un fenomeno che riguarda tutta l’importazione di escatologismi nel dibattito politico: sono una maniera in qualche grado inconscia di sublimare l’incomprensione del futuro e irregimentare un evento storico. 

Ma il percorso dell’escatologia politica non è stato da Est a Ovest; non si tratta di un contagio. Ha ricevuto un impulso catalizzante dalle cose mediorientali ma a ben vedere è eruttato dal profondo della società occidentale.  

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