L'irresistibile avanzata dei non-luoghi

Viaggiare è concetto assai diverso dal fare turismo. Attiene alla categoria dell’osservazione di chi guarda oltre la meta, cerca di riflette su ciò che vede e nei limiti del possibile esprime un giudizio informato. Chi si metta in viaggio in Italia animato da spirito di conoscenza, vive due sentimenti prevalenti: la presa d’atto dell’avanzata irresistibile della bruttezza e l’enorme quantità di non-luoghi che incontra nel cammino

Nuovi non-luoghi sono i chilometri di strade che circondano quasi tutti i centri urbani. Sino a qualche decennio fa, c’erano campi, orti, case rurali, ville e rare attività industriali, oggi è un continuum di centri commerciali e capannoni industriali, non di rado svuotati dalla crisi industriale, intervallati da zone di abitazione, dormitori senz’anima.

In Italia, si tratta di tessuti urbani pregevoli, organici, bene inseriti nel paesaggio circostante, il segno distintivo di quell’antica civiltà urbana della nostra nazione, ciascuno con una sua specificità, che lo rendeva unico, riconoscibile all’interno di una cultura condivisa. I luoghi del potere- spirituale e temporale- quelli del commercio e del lavoro, le piazze dove ci si incontra, si discute, i giardini, le vie e le case di abitazione delle varie classi sociali, tutte con un loro decoro complessivo.

Oggi invece tutto è bruttezza, nessun ornamento, ma neppure allusione alla specifica funzione di ciascun edificio e costruzione. Un ospedale può essere scambiato per il palazzo di giustizia o la sede di una società per azioni.

Il viaggio si trasforma in Via Crucis con le sue stazioni. Una ci è capitata nei pressi della città di Schio, antico centro laniero: un ampio parallelepipedo dal colore indefinibile in mezzo al nulla, una multisala cinematografica. Anche il cinema, l’arte per eccellenza della modernità, è sfrattato dalle città e dai paesi.

In ogni provincia italiana esistono splendidi teatri storici, nelle città ma anche nei piccoli centri, a comprova della cultura immensa di cui siamo figli. La maggior parte sono chiusi, non pochi in stato di penoso disfacimento. Un esempio virtuoso è il comune ligure di Pieve di Teco, 1.350 abitanti, dal ricco patrimonio architettonico civile e religioso, la bella via principale porticata e ben due teatri, Salvini e Rambaldi, riportati a vita. La regola, purtroppo, è quella dell’abbandono.

Intanto, la grande bruttezza conquista letteralmente il terreno, asfaltando tratti sempre maggiori del territorio. Persino i paesaggi dolci, bellissimi della nostra Italia, frutto della natura e del lavoro secolare dell’uomo diventano una terra desolata. Le città si trasformano sempre più in periferie anonime, unite dalla tristezza uniforme e dallo straniamento che è un obiettivo di chi le costruisce.

Le grandi stazioni ferroviarie vengono rimodellate come centri commerciali dove è possibile acquistare di tutto, tranne ciò che più interessa i viaggiatori, i biglietti, i giornali o i libri. Le più piccole sono chiuse, anzi, nella lingua di legno dei burocrati di Trenitalia, impresenziate. Il risultato, oltre al disagio pratico, è la sequenza di edifici lordati, frequentati da un’umanità sotterranea, dedita a traffici di ogni genere.

Ci sovviene il viaggio in Italia dei grandi del passato, alla ricerca dell’arte, della bellezza, della storia e dell’umanità della nostra gente. Che ne sarebbe di Goethe a Roma Termini, alle autostazioni di Brescia o Bologna, e poi al cospetto delle Vele di Scampia, delle Lavatrici di Genova Prà, dei tristi casermoni della cintura torinese.

Del resto, la Fontana di Trevi è talora scambiata per una piscina. La reggia di Caserta, una delle meraviglie italiane, era fino a pochi anni fa meta di picnic di orde domenicali. I centri storici - in Italia sono tutti belli - si svuotano di attività commerciali, di residenti e di vita. La bellezza scintillante di ieri si trasforma in vecchiume che la gente chiederà a gran voce di abbattere, con grande gioia dei signori del cemento.

La vittoria dei non-luoghi è nella presa di possesso di porzioni d’Italia sempre più grandi. Il rischio, ma temiamo sia realtà per moltissimi connazionali, è che ci si abitui al degrado, all’informe fino a considerarlo normale. Già oggi si va al centro commerciale non per risparmiare, ma per passare il tempo tra corridoi tutti uguali inframmezzati da rare panchine in corrispondenza di gelaterie e bar che distribuiscono cibo spazzatura. Ciò che l’altro ieri pareva orribile, ieri era solo discutibile, oggi è accettato e domani sarà regola fissa.

Siamo cittadini del mondo, perbacco, e non ci sfiora il sospetto di esserci trasformati in sudditi cui viene fatto pensare ciò che vogliono i padroni del sistema. Eh, no, noi decidiamo con la nostra testa! Purtroppo, è tragicamente vero: hanno abolito studi e materie che allenavano al pensiero individuale, critico, al ragionamento, ci hanno persuasi che nuovo è bello e vecchio è brutto, che ieri era oscurità e oggi è luce. Pensiamo davvero con la nostra testa, solo che è stata svuotata e riconfigurata.

Meglio, molto meglio, il casello autostradale che conduce alla tangenziale da cui si può raggiungere, a piacere, l’aeroporto, la multisala, l’outlet. Presto, non-luogo sarà il Colosseo, inutile testimone di antichi spettacoli sanguinosi, e la Lanterna, un faro che al tempo della navigazione computerizzata non serve a nulla.


Editoriale

 

Ricostruire l'unità nazionale

di Adriano Tilgher

Siamo alle solite. In Italia siamo troppo occupati ad affrontare temi marginali o impostici da altre nazioni per renderci conto della grave situazione in cui versa la nostra nazione. Purtroppo tutto questo accade perché a nessuno dei cosiddetti politici, né alle istituzioni interessa nulla dell’Italia; basti pensare alla scomparsa in tutte le scuole di ogni ordine e grado della storia, della grande cultura classica ed umanistica, base e fondamento sia del nostro percorso unitario che della nostra profonda identità.

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La Spina nel Fianco

 

L'ethos del cameratismo

1944 il poeta, soldato, (e bisessuale) Robert Graves, (1895 -1985) dà alle stampe il suo romanzo più famoso, "Il vello d'oro”, che parla fra altre cose, della guerra dei sessi nella mitologia Greca (successivamente ereditata dai Romani). Graves dipinge il "litigio" fra Zeus ed Era, più che come una satira sui problemi domestici delle famiglie greche, come un conflitto fra sistemi sociali inconciliabili. Nel descrivere il panteon greco l'autore narra dello scontro fra le divinità femminili dei popoli mediterranei guidate da Madre Gea e gli dei del pantheon maschile, guidati da Zeus arrivati dal nord con gli invasori achei, che si sono fatti largo a spallate nella Grecia arcaica e matriarcale. Ad Olimpia cittadina del Peloponneso occidentale, che ha dato nome alle "Olimpiadi" dove sorgeva il tempio di Gea, più venerato di tutta la Grecia, un paio di millenni prima dell’"era dell’Uomo", pare si sia tenuta una sorta di sacro G20, un super vertice religioso con lo scopo di raggiungere una pacificazione. Da un lato, le diverse manifestazioni della triplice Dea, con i loro riti della fertilità, ed un certo gusto per i sacrifici umani, dall’altro gli dei guerrieri venuti dal nord, che erano usi tenere le donne alla catena, in cielo come in terra. Ma sarà una pace fittizia, la guerra metafisica, non finirà mai, e giunge fino a noi alimentata dal tentativo del nuovo ordine mondiale di uniformare, e quindi annullare ogni diversità di genere.

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