La Marcia su Roma della destra postfascista (VI)

Il fascismo, per Adriano Romualdi, è un fatto storico che nella storia d’Italia è pienamente inserito come fenomeno reattivo, ma insieme rivoluzionario, poiché non intende solo recuperare i valori eroici, gerarchici e culturali, ma intende socializzarli in una compiuta operazione di nazionalizzazione delle masse. La Marcia su Roma non condusse al potere una classe, ma rappresentò la volontà di assorbire il proletariato in quella dimensione capitalistica che costituiva il motore del progresso sociale nell’Europa del XX secolo.

Non quindi rivolta contro il mondo moderno, ma operazione di governance della modernità, di rettificazione di un progresso che non andava rifiutato, ma condotto su quelle linee di vetta che costituiscono l’orizzonte eterno della Tradizione. Ecco perché Romualdi considera la Marcia su Roma una rappresentazione icastica di quella che è la natura dei fascismi, ovvero quell’essere “in movimento”, quell’andare verso il popolo, «poiché hanno compreso che il popolo non può essere lasciato da parte, nell’era delle masse».

Non quindi regimi autoritari – come quello di Dolfuss, di Franco o di Vichy – ma movimenti progressisti che operavano attraverso l’attivismo, specie giovanile, la propaganda e le riforme sociali. La profonda motivazione della Marcia fu, secondo Romualdi, proprio il sorgere della società di massa, con la conseguente necessità di sostituire alle vecchie élites di notabili, un partito di massa che sapesse rispondere con prontezza alla sfida bolscevica all’Europa.

Fu, in altre parole, la prosecuzione dell’esperienza collettiva della guerra: il trarne le conclusioni. Per questo divenne subito modello per gli altri fascismi: «E l’esempio in politica è tutto. Poco importa che una serie di idee già vivano sulla carta quando nessuno ancora ha mostrato come realizzarle».

Nel 1919, per Romualdi, l’Europa era già potenzialmente fascista, in virtù di quelle forze nuove che tornavano dalle trincee, dalle tempeste d’acciaio e che si erano già autonomamente costruite una seconda esistenza edificata sul coraggio, l’onore, il comando e l’obbedienza, la disciplina e il coraggio. «Quando il 28 ottobre 1922 le Camicie Nere di Mussolini sfilarono per le vie di Roma, i reduci di tutta Europa seppero che la strada era stata aperta, e che i loro valori erano diventati legge di vita».

La Marcia su Roma non portava con sé tanto un nuovo modello di Stato, che anzi presenta somiglianze formali col vecchio, quanto piuttosto un nuovo tipo di civiltà in embrione, ostile al livellamento industriale e democratico, negatore dei valori della disciplina, del coraggio e dell’onore.

 

 

Immagine: https://www.barbadillo.it/


Editoriale

 

I diritti civili

di Adriano Tilgher

Si fa un gran parlare, in questi tempi, di diritti civili e la mia sensazione è che pochi fra quelli che ne parlano sappiano esattamente cosa siano questi diritti civili, che sul piano della sinistra hanno letteralmente soppiantato i diritti sociali che sono scomparsi dal dibattito politico, nonostante siano totalmente sotto attacco. Guardo raramente e con difficoltà i dibattiti televisivi perché sento solamente banalità per lo più insulse, prive di riscontri reali e soprattutto completamente estranei alla realtà e alla gravità dei problemi che stiamo affrontando come Italiani.

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La Spina nel Fianco

 

Professor Odal

5 marzo 1965, muore al Cairo, Omar Amin, militare, politico, filosofo ed esoterista tedesco naturalizzato egiziano, amico di Renè Guenon e di Savriti Devi. Omar Amin, nasce in Germania a Karbow-Vietlübbe, un piccolo comune del Meclemburgo-Pomerania, il 25 gennaio 1902, con il nome di Johann Jakob von Leers. Studiò nelle università di Kiel, Berlino e Rostock, laureandosi in giurisprudenza. Si dedicò soprattutto a studi storici e linguistici, come la slavistica. Divenne un poliglotta, imparò italiano, russo polacco, ungherese arabo e giapponese; scriveva correntemente in latino, ma anche nello yiddish degli ebrei aschenaziti dell'Est Europa. Ernst Jünger (1895-1998) lo definì “un genio linguistico”. Nel mondo intellettuale tedesco von Leers era noto con l'appellativo, "professor", il professore,  anche in virtù della cattedra universitaria presso l'università di Jena.

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