Umanesimo del lavoro e demonia del denaro: Giovanni Gentile

Tilgher, morendo nel 1941, non ebbe modo di apprezzare l’evoluzione del pensiero del suo rivale che nel 1944, poco prima di essere assassinato dai partigiani a Firenze, aveva composto Genesi e struttura della società, un’opera che al di là del vigore filosofico proprio del Gentile contiene l’appassionato lirismo di un testamento, non solo personale ma di tutta una concezione dell’uomo e della società in cui lui e non solo lui aveva creduto, tanto da accettare di pagarne le estreme conseguenze.

Ebbene, non a caso in quest’opera Gentile parla di umanesimo del lavoro che deve sostituire quello della cultura, perché l’avanzata del lavoratore ha modificato il concetto stesso di cultura. Ogni uomo lavora ed è uomo perché lavora, cioè spiritualizza la materia; col lavoro l’uomo si innalza allo spirito ed è perciò artefice di se stesso. Si rende così necessaria una nuova dimensione dello Stato che passi da quello rappresentativo del cittadino astratto, teorizzato dalla rivoluzione francese dell’89, allo Stato del lavoratore. Questo Stato è inevitabilmente etico poiché la vita politica è lotta che ci trae in mezzo alla società, è sforzo implicito nell’azione che ci sottrae alla tentazione della solitudine.

Un’etica apolitica non esiste perché nello Stato ciò che astrattamente diremmo privato – l’educazione dei figli, ad esempio – diviene pubblico; la distinzione privato-pubblico essendo funzionale alla concezione liberale dei limiti dello Stato, mentre tutto è nello Stato perché l’uomo concreto è pubblico anche quando rivendica l’iniziativa privata. Se questo Stato può essere accusato di totalitarismo, Gentile ribalta la questione affermando che in realtà è l’individuo che risolve in sé lo Stato che ne costituisce la volontà.

L’antitesi di questo Stato infatti non è la democrazia, ma l’anarchismo che porta alle estreme e logiche conseguenze l’individualismo. Non basta però la convinzione di essere parte attiva dello Stato, ma occorre un’attività politica diretta e concreta dell’individuo, perché vivere politicamente è un dovere al quale nessuno può sottrarsi, ma che non è realizzabile in uno Stato liberaldemocratico o socialista, in quanto entrambi sono accumunati dallo stesso errore, quello di concepire la società in modo atomistico, come accidentale incontro e coacervo di individui. Ma l’individuo non è un atomo: in lui è immanente la società che si trova in interiore homine.

Per questo lo Stato non è una macchina di soddisfazione di bisogni, ma sostanza etica. Nega l’eticità dello Stato chi vuole delegittimarlo, ridurlo a cosa priva di valore e quindi non degna di rispetto. Anche l’economia deve essere ricompresa nello Stato, in modo da non risultare semplice calcolo di interessi privati, ma per essere spiritualizzata, trasfigurata nella luce che è propria del mondo della libertà dello spirito che solo lo Stato può attuare. La politica deve predominare sull’economia.


Editoriale

 

I diritti civili

di Adriano Tilgher

Si fa un gran parlare, in questi tempi, di diritti civili e la mia sensazione è che pochi fra quelli che ne parlano sappiano esattamente cosa siano questi diritti civili, che sul piano della sinistra hanno letteralmente soppiantato i diritti sociali che sono scomparsi dal dibattito politico, nonostante siano totalmente sotto attacco. Guardo raramente e con difficoltà i dibattiti televisivi perché sento solamente banalità per lo più insulse, prive di riscontri reali e soprattutto completamente estranei alla realtà e alla gravità dei problemi che stiamo affrontando come Italiani.

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La Spina nel Fianco

 

Professor Odal

5 marzo 1965, muore al Cairo, Omar Amin, militare, politico, filosofo ed esoterista tedesco naturalizzato egiziano, amico di Renè Guenon e di Savriti Devi. Omar Amin, nasce in Germania a Karbow-Vietlübbe, un piccolo comune del Meclemburgo-Pomerania, il 25 gennaio 1902, con il nome di Johann Jakob von Leers. Studiò nelle università di Kiel, Berlino e Rostock, laureandosi in giurisprudenza. Si dedicò soprattutto a studi storici e linguistici, come la slavistica. Divenne un poliglotta, imparò italiano, russo polacco, ungherese arabo e giapponese; scriveva correntemente in latino, ma anche nello yiddish degli ebrei aschenaziti dell'Est Europa. Ernst Jünger (1895-1998) lo definì “un genio linguistico”. Nel mondo intellettuale tedesco von Leers era noto con l'appellativo, "professor", il professore,  anche in virtù della cattedra universitaria presso l'università di Jena.

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