Uno fra tanti, uno dei trentamila marò

Ormai Franco passa dal letto alla poltrona. Il bastone non è più sufficiente a reggere il corpo a cui le gambe non danno più sostegno. E non consola dirsi che, classe 1924, fra poco compie novanta quattro anni. Una età di tutto rispetto, soprattutto rispetto verso l’esistenza che può raccontare e, lucido e ostinato, raccontare solo ciò che intende raccontare... perché, da narratore sanguigno e verace, conosce il coabitare del vissuto con quanto appartiene di diritto al verosimile che dona al romanzo quella ossatura solida ed efficace. Con sorriso ironico e disarmante mi interrompe e devia e domina la conversazione ogni volta che provo ad incalzarlo. La X Mas, nel btg. Lupo, l’agguato vile nella notte a Milano per sottrargli, invano, la pistola, la resa alle porte di Padova, la prigionia in Algeria nel 211 P.O.W. a Cap Matifou. E già vi sarebbe tanto e ben oltre da scrivere. Solo che è l’inizio di un cuore avventuroso. Accontentiamoci, intanto, di tracciarne percorso e tappe. Poi, poi vedremo...

A Roma l’ufficio arruolamento della Decima è situato al Campidoglio. La fila di giovani entusiasti e arditi si snoda lungo il colonnato mentre l’imperatore Marco Aurelio vigila, severo e con il braccio teso, come ad indicare il cammino. Scanzonato e strafottente Franco si guarda intorno, incosciente forse, com’è nella sua natura ove prima ci si butta nella mischia e dopo, ma soltanto dopo, si calcolano le conseguenze. Lo sguardo sicuro il gesto preciso il fisico robusto, non si chiede altro e tanto gli basta per ottenere un visto destinazione La Spezia, caserma di San Bartolomeo. Tutto facile; il difficile ora è dirlo alla mamma... ‘Scendo da un tram elettrico traballante e scalcinato. Una caserma. Un marinaio di guardia armato di mitra. Una divisa grigioverde simile a quella del btg. San Marco. Sventola sul pennone una grande bandiera tricolore con un buco al centro. Hanno tolto lo stemma dei Savoia, simbolo del tradimento. Mi vengono le lacrime agli occhi L’Italia non è morta... Vado alle armi quando tutti se ne tornano a casa (Il mare nel bosco, Luigi Del Bono). Così per Franco, così per circa trenta mila volontari.

Operazione Shingle, 22 gennaio 1944, gli alleati sono sbarcati a Nettunia. Le esitazioni del generale Lucas, più che la presenza di deboli difese dei tedeschi, impediscono loro di giungere fino alle porte di Roma. La battaglia di Anzio li costringerà a restare inchiodati sulla spiaggia fino ai primi di maggio, mentre Kesserling racimola truppe a rinforzo e con esse arrivano poco più di mille marò del btg. Barbarigo della X MAS. Per molti di loro la prima esperienza di guerra. E per oltre cento di loro sarà anche l’ultima. Intanto a La Spezia va formandosi un secondo battaglione, il Lupo, con gli istruttori germanici e l’intento dichiarato di dare il cambio ai camerati, provati, nei combattimenti contro i rangers nell’Agro Pontino. Fra le nuove reclute, c’è Franco, assegnato al terzo plotone. A metà aprile il trasferimento nella valle dell’Era in provincia di Pisa. Quaranta giorni circa, poi senza alcun preavviso la partenza destinazione Piemonte a dare la caccia ai partigiani. I primi caduti, dall’una e dall’altra parte. La caserma Monte Grappa, a Torino. In attesa di andare al fronte e interrompere la spirale di violenza fratricida. Prima, però, a riconquistare la città di Alba nelle Langhe, da settimane in mano partigiana. Sorride, mentre mi racconta le fasi della battaglia – in effetti qualche colpo di mortaio, raffiche di mitragliatrice, un correre chini tra filari di vite, l’entrata nell’abitato, qualche morto a dare il sapore del combattimento. ‘Quasi non ce ne accorgemmo’, conclude. Ancora Torino e l’ordine di partenza per Milano.

Il battaglione viene alloggiato in una scuola elementare a Ripa Ticinese. Sfila davanti al Maresciallo Rodolfo Graziani al Castello Sforzesco. Poi il trasferimento al fronte, la Linea Gotica, lungo la riva del Senio, in buche improvvisate di fango, di fronte i canadesi. Franco, però, non c’è. La lunga degenza in ospedale, la convalescenza. In piena notte, a Milano, l’agguato. Così lo racconta ne Dalla X MAS alla rivolta di Algeri: ‘... ti ricordi di quella notte quando Federico cadde in un’imboscata? Volevano disarmarlo, quei tristi, appiattiti al muro...’ Un colpo a bruciapelo a perforare il polmone, la pistola no, quella non sono riusciti a sottrarla. La sua prima preoccupazione. Un vanto, dopo oltre settanta anni... Il 28 aprile del ’45, alle porte di Padova. In un campo di grano i marò della Decima si schierano mentre i riflettori delle truppe neozelandesi illuminano la notte disegnando due strisce che, incrociandosi, sembrano riprodurne il simbolo a loro caro. Cade una pioggerellina fine, lacrime sui volti. La resa con l’onore delle armi. Inquadrati, tra insulti e sputi degli eroi dell’ora ultima e facile, si avviano alla prigionia. Il campo S a Taranto, i reticolati in Algeria, di nuovo a Taranto. Questa volta Franco li ha raggiunti, è anche fisicamente uno di loro. Fine dicembre del ’49, Marsiglia, piazza antistante il Fort Saint-Nicolas, la sede della Legione Straniera. Di nuovo in armi. Dien Bien Fu, Indocina. E l’Algeria... Me ne racconta con tono impersonale, quasi da spettatore, come se mi volesse lasciare il dubbio se fu partecipe o solo testimone.

Infine, atto di fierezza e fedeltà verso il Comandante, la notte dell’8 dicembre 1970 ove una comunità si riconobbe e attese invano ‘l’ultima raffica’.

 


Editoriale

 

Ricostruire l'unità nazionale

di Adriano Tilgher

Siamo alle solite. In Italia siamo troppo occupati ad affrontare temi marginali o impostici da altre nazioni per renderci conto della grave situazione in cui versa la nostra nazione. Purtroppo tutto questo accade perché a nessuno dei cosiddetti politici, né alle istituzioni interessa nulla dell’Italia; basti pensare alla scomparsa in tutte le scuole di ogni ordine e grado della storia, della grande cultura classica ed umanistica, base e fondamento sia del nostro percorso unitario che della nostra profonda identità.

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La Spina nel Fianco

 

L'ethos del cameratismo

1944 il poeta, soldato, (e bisessuale) Robert Graves, (1895 -1985) dà alle stampe il suo romanzo più famoso, "Il vello d'oro”, che parla fra altre cose, della guerra dei sessi nella mitologia Greca (successivamente ereditata dai Romani). Graves dipinge il "litigio" fra Zeus ed Era, più che come una satira sui problemi domestici delle famiglie greche, come un conflitto fra sistemi sociali inconciliabili. Nel descrivere il panteon greco l'autore narra dello scontro fra le divinità femminili dei popoli mediterranei guidate da Madre Gea e gli dei del pantheon maschile, guidati da Zeus arrivati dal nord con gli invasori achei, che si sono fatti largo a spallate nella Grecia arcaica e matriarcale. Ad Olimpia cittadina del Peloponneso occidentale, che ha dato nome alle "Olimpiadi" dove sorgeva il tempio di Gea, più venerato di tutta la Grecia, un paio di millenni prima dell’"era dell’Uomo", pare si sia tenuta una sorta di sacro G20, un super vertice religioso con lo scopo di raggiungere una pacificazione. Da un lato, le diverse manifestazioni della triplice Dea, con i loro riti della fertilità, ed un certo gusto per i sacrifici umani, dall’altro gli dei guerrieri venuti dal nord, che erano usi tenere le donne alla catena, in cielo come in terra. Ma sarà una pace fittizia, la guerra metafisica, non finirà mai, e giunge fino a noi alimentata dal tentativo del nuovo ordine mondiale di uniformare, e quindi annullare ogni diversità di genere.

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