Cipriani - Corridoni il passaggio di testimone

Il 28 gennaio del 1915 Filippo Corridoni parte in treno per Parigi, ove ha sede la direzione della Union des Gaz, insieme ad una rappresentanza di operai milanesi in sciopero. Il giovane capo del sindacalismo rivoluzionario è stato delegato ad affrontare la dura vertenza che vede contrapposte le maestranze italiane ai datori di lavoro francesi. Saranno otto giorni di aspra contesa, soprattutto gli consentiranno, però, di incontrare Amilcare Cipriani, rientrato nei medesimi giorni nella capitale francese.

Nel modesto appartamento ove trascorre gli ultimi anni di vita (morirà a Parigi nel 1918) il vecchio rivoluzionario della seconda metà dell’Ottocento lo accoglie e racconta i tanti momenti, i volti e le immagini che hanno attraversato la sua vita e hanno tracciato il solco verso le inquietudini del Novecento, di cui egli riconosce ed affida a Corridoni premesse e speranze.

Cipriani, d’origini romagnole, ad appena quattordici anni partecipa alla guerra del 1859 contro l’Austria, segue Garibaldi nella spedizione in Sicilia e nell’avventura risoltasi nello scontro in Aspromonte. Poi l’esperienza della Comune di Parigi e, in Grecia, contro i turchi per la liberazione dell’isola di Candia. Nella sfortunata battaglia di Domokos verrà ferito ad una gamba. Anni di esilio, in fuga o trascorsi nei penitenziari del Regno d’Italia e in quelli francesi in Nuova Caledonia. A Londra assiduo frequentatore al numero 18 Foulham Road ove risiede il Mazzini e, da fotografo, lo ritrae in una celebre immagine meditativa. Sempre a Londra conosce Marx e, in più riprese, cercherà di trovare un accordo tra anarchici e socialisti. In fine la scelta interventista. Sebbene Indro Montanelli lo tratti come un “pasticcione”, egli rappresenta – e sulla sua pelle e non è poco – il mondo romantico utopico coerente di esistenze tutte protese verso un sogno di riscatto politico sociale economico. La lunga barba il cappello a falde larghe il fiocco al posto della cravatta…                                                                    

Nascosta tra le doline del Carso, sotto Monte San Michele, dove furono combattute fra le prime battaglie del fante italiano nella Grande Guerra, s’erge la stele dedicata a Filippo Corridoni, qui caduto alla Trincea delle Frasche il 23 ottobre del 1915 – e il corpo non fu mai identificato. Sul suo basamento la scritta, incisa nella pietra: “Qui, eroico combattente, cadde Filippo Corridoni, fecondando – col sacrificio della vita – la gloria della patria e l’avvenire del lavoro”. Sindacalista rivoluzionario (fu il primo segretario della federazione di Milano alla costituzione, 1913, dell’Unione Sindacale Italiana), interventista, repubblicano. Amico e compagno di Mussolini che, nel 1936, volle di persona inaugurare la statua a lui dedicata a Pausula, la sua città natale e in suo onore ribattezzata Corridonia.

”Arcangelo Sindacalista” come lo definisce – e così intitola il suo esaustivo e prezioso volume di quasi mille pagine (A. Mondadori, 1943) – Ivon De Begnac, già noto agli studiosi di Mussolini e del Fascismo, per aver avuto accesso diretto a Palazzo Venezia. Recluso nel carcere di San Vittore, aprile 1915, si dedica a completare un “lavoruccio” a cui aveva in mente da tempo e che, pubblicato postumo nel 1921 a cura di Alceste De Ambris, sarà il suo saggio più compiuto, titolo Sindacalismo e Repubblica (Idrovolante edizioni, 2015) e che raccoglie il frutto delle idee nate in anni di lotta in cui – fedele al binomio mazziniano “Pensiero e Azione” – spenderà generosamente tutto di sé.

Dietro la suggestione di pensatori quali Sorel e Proudhon, al contempo critico severo di Marx, Corridoni annovera quella che può ben definirsi “etica del cambiamento”, capace cioè di animare le lotte operaie e che non si riducano ad esclusiva “ribellione della fame” (colpa questa grave che egli imputa al socialismo di osservanza marxista), ma che esprimano compiutamente lo “spirito eroico, il senso religioso del proprio sforzo, la voluttà del sacrificio ed una chiara e completa nozione della propria missione storica”. E filo conduttore quella “democrazia diretta” al fine di dare al sindacato di categoria il ruolo che i partiti non sono in grado di interpretare: dal decentramento verso le province per sfuggire all’asfissia burocratica e fino al concetto di “nazione armata” (un popolo in armi e sostitutivo dell’esercito inteso al servizio di interessi di parte, padroni e borghesi). Tanti i temi e la memoria e le idee.

 

Immagine: https://oltrelalinea.news/                                                                                          


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