Per una democrazia diretta

Si usa sempre, come si ricordava la precedente settimana, derubricare l’idea di democrazia diretta come concepibile e utilizzabile solo in piccole comunità, ma, nello stesso tempo, è un mantra dei tempi moderni affermare con compiacimento (chissà perché) che il mondo ha ormai dimensioni ridotte e viviamo in un villaggio globale, per usare ancora l’espressione di McLuhan.

 

Se davvero le dimensioni del pianeta si sono ridotte, quelle di un singolo Stato nazionale, l’Italia ad esempio, devono essere diventate microscopiche, facendo tornare attuale e possibile una democrazia diretta, unico e forse ultimo rimedio alla progressiva perdita di democrazia che si sta rapidamente consumando in Europa (altrove è lecito dubitare ci sia mai stata). A determinare il rimpicciolimento del pianeta molto ha contribuito la comunicazione internettiana e in genere quella digitale. Si tratta allora di pensare come sfruttare un mezzo generalmente utilizzato per fini ludici e/o di progressivo svuotamento delle intelligenze, in modo che possa funzionare in vista di una democrazia diretta 2.0. Ad esempio, si potrebbe pensare di sottoporre tutte le leggi proposte, in un parlamento che certo va ripensato diversamente, al voto digitale.

Ogni cittadino, dotato di una chiave d’accesso equivalente alla tessera elettorale, potrebbe esprimere il proprio voto direttamente a favore o contro la legge proposta. Non si tratta del metodo grillino, tipico di una falsa democrazia, dove si tratta di dire sì o no a una delega o a un rappresentante, ma di esprimere direttamente la propria approvazione o riprovazione alla legge proposta. Compito del governo o dei partiti sarebbe quello di fornire una spiegazione chiara e comprensibile della legge, di spiegarne gli effetti positivi se la si ritiene utile o negativi se ci si oppone alla sua approvazione, in modo da consentire al cittadino di avere contezza di cosa è chiamato a decidere, ovviamente con un voto che rimane segreto.

Se il cittadino elettore non si informa è probabile che neanche voterà, in considerazione che nessuno voglia votare a caso procurando un danno alla collettività e quindi a se stesso, e se non voterà, lascerà che a decidere anche per lui saranno gli altri. Anche questo è lecito in democrazia, benché ci sia da aspettarsi che responsabilizzato così fortemente, il cittadino possa ritrovare una altrettanto forte motivazione alla politica e alla discussione politica che potrebbe, ma forse si esagera nelle speranze, persino sostituire, almeno nell’ordine gerarchico, quella di carattere calcistico. Si diceva come il parlamento andrebbe ripensato, anche per garantire una produzione legislativa, che in questo caso avrebbe carattere di mera proposta, contenuta nei numeri, in modo da rendere possibile un serio interesse da parte della popolazione, ma al contempo garantire anche un livello qualitativamente superiore alle leggi che stabiliscono le dimensioni degli ortaggi o il divieto di parlare al conducente.

Si tratta di definire meglio i caratteri di un’idea che potrebbe diventare programma di una forza politica che si proponga di salvare le sovranità nazionali e con esse la democrazia. Il dibattito è benvenuto.


Editoriale

 

Ricostruire l'unità nazionale

di Adriano Tilgher

Siamo alle solite. In Italia siamo troppo occupati ad affrontare temi marginali o impostici da altre nazioni per renderci conto della grave situazione in cui versa la nostra nazione. Purtroppo tutto questo accade perché a nessuno dei cosiddetti politici, né alle istituzioni interessa nulla dell’Italia; basti pensare alla scomparsa in tutte le scuole di ogni ordine e grado della storia, della grande cultura classica ed umanistica, base e fondamento sia del nostro percorso unitario che della nostra profonda identità.

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La Spina nel Fianco

 

L'ethos del cameratismo

1944 il poeta, soldato, (e bisessuale) Robert Graves, (1895 -1985) dà alle stampe il suo romanzo più famoso, "Il vello d'oro”, che parla fra altre cose, della guerra dei sessi nella mitologia Greca (successivamente ereditata dai Romani). Graves dipinge il "litigio" fra Zeus ed Era, più che come una satira sui problemi domestici delle famiglie greche, come un conflitto fra sistemi sociali inconciliabili. Nel descrivere il panteon greco l'autore narra dello scontro fra le divinità femminili dei popoli mediterranei guidate da Madre Gea e gli dei del pantheon maschile, guidati da Zeus arrivati dal nord con gli invasori achei, che si sono fatti largo a spallate nella Grecia arcaica e matriarcale. Ad Olimpia cittadina del Peloponneso occidentale, che ha dato nome alle "Olimpiadi" dove sorgeva il tempio di Gea, più venerato di tutta la Grecia, un paio di millenni prima dell’"era dell’Uomo", pare si sia tenuta una sorta di sacro G20, un super vertice religioso con lo scopo di raggiungere una pacificazione. Da un lato, le diverse manifestazioni della triplice Dea, con i loro riti della fertilità, ed un certo gusto per i sacrifici umani, dall’altro gli dei guerrieri venuti dal nord, che erano usi tenere le donne alla catena, in cielo come in terra. Ma sarà una pace fittizia, la guerra metafisica, non finirà mai, e giunge fino a noi alimentata dal tentativo del nuovo ordine mondiale di uniformare, e quindi annullare ogni diversità di genere.

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