Roma, resisti!

Non c’è un Ottaviano per rifare grande Roma, né quel romagnolo di Dovia di Predappio o un Papa guerriero alla Giulio II della Rovere che all’occorrenza tirava sonori sganassoni.  La città deve resistere ai quaquaraquà, agli omiccioli sudaticci, alle Barby vuote prestate al politichese, ai valvassori del qualunquismo etico firmato dai  global thinkers del pensiero unico. Quasi tre quarti di secolo di caos urbanistico autentico piraña di quell’Agro Romano che incantò J. W. von Goethe non solo il nostro Tomassetti. Borgate nate come modelli d’ edilizia popolare d’avanguardia con radici tutte romane, accerchiate, ingrassate a batteria da un feroce inurbamento senza una goccia di stile.  

Ho insegnato a tanti ragazzi che venivano dalla periferia, tutti, dico tutti, tenevano vergogna dei loro quartieri, solitudine,  sradicamento accompagnato da rassegnazione. Quando attraverso Tor Vergata col pullman, perché costretto nei piedi, tra isolotti di Facoltà estensive che inseguono l’idea anglosassone dei campus, mi chiedo come possano gli studenti accendere qui il fuoco del confronto, dell’aggregazione,  magari, perché no, della rivolta, volutamente gli è stata resa impraticabile. Qui s’ allevano polli in batteria nei gabbioni di vetro e cemento, gli yes men & girls della globalizzazione, i Berta e Beniamino della Fattoria degli animali di G. Orwell, si fidano del sistema o non vogliono opporvisi, magari meglio emigrare, comunque il risultato è lo stesso.

Eppure l’omuncolinità della retorica fallita è lì a un passo, svetta sulla campagna la vela vuota  dell’archistar Santiago Calatrava. Follia economica oltre che progettuale, gigantismo della rana di Fedro rosicona della grandezza del passato. La Grande Storia su RAI3 la rossa, non può fare a meno di mandare i filmati dell’Istituto Luce sulle grandi opere dell’eretico ventennio, la Città Universitaria di Roma fu uno dei suoi fiori all’occhiello.  Facoltà - cattedrali del sapere, dove urbanistica, architettura, arti belle ed applicate si fondevano secondo tradizione romana, con al centro il Foro e la sua Minerva in bronzo del perseguitato Arturo Martini, er più degli scultori del nostro Novecento.

Quanta adrenalina della “sbagliata” gioventù dell’utopia è passata per quelle aule, quelle strade sognando la caduta degli dei, destra-sinistra contro il sistema borghese. Non fu solo ’68, poi ’77 ma anche testuggine contro il papa  della CGIL, fu la cittadella del FUAN Caravella, quanto del Movimento studentesco, un laboratorio per saldare i poli opposti, chiuso per lucro dei partiti. Quest’anno i soliti ministerianti officeranno i cinquant’anni dalla contestazione,. ascolteremo omelie precotte blablate da chi poggiava il culo grigio sulle scalinate, mentre sul piazzale c’erano le botte.

Roma assisterà anche a questa pioggia di menzogne, verità di parte, opinionisti alligatori mai satolli di carriere arraffate grazie alle catene degli altri. Certo la Città di M. Piacentini, tirata su in soli tre anni dal ’32 al ’35, suda Storia in ogni metro, dall’architettura razionalista, all’assetto urbanistico, all’arte, alle lezioni di insigni professori ( penso a Ettore Paratore) fino all’incendio dei ribelli. Anche la cronaca nera vi ha lasciato traccia nella lapide che ricorda una vittima innocente dell’idiozia pura: Marta Russo. Tra nuvole artificiali chiuse in gabbia che non potranno mai salire al cielo, vele senza alberi né navi, torri della speculazione immobiliare, “spelacchi” buoni per la legna, Roma, in mancanza di Augusto e Giulio, deve resistere dall’una all’altra sponda del fulvo Tevere, è il sacerdote del suo eterno disincanto.


Editoriale

 

Ricostruire l'unità nazionale

di Adriano Tilgher

Siamo alle solite. In Italia siamo troppo occupati ad affrontare temi marginali o impostici da altre nazioni per renderci conto della grave situazione in cui versa la nostra nazione. Purtroppo tutto questo accade perché a nessuno dei cosiddetti politici, né alle istituzioni interessa nulla dell’Italia; basti pensare alla scomparsa in tutte le scuole di ogni ordine e grado della storia, della grande cultura classica ed umanistica, base e fondamento sia del nostro percorso unitario che della nostra profonda identità.

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La Spina nel Fianco

 

L'ethos del cameratismo

1944 il poeta, soldato, (e bisessuale) Robert Graves, (1895 -1985) dà alle stampe il suo romanzo più famoso, "Il vello d'oro”, che parla fra altre cose, della guerra dei sessi nella mitologia Greca (successivamente ereditata dai Romani). Graves dipinge il "litigio" fra Zeus ed Era, più che come una satira sui problemi domestici delle famiglie greche, come un conflitto fra sistemi sociali inconciliabili. Nel descrivere il panteon greco l'autore narra dello scontro fra le divinità femminili dei popoli mediterranei guidate da Madre Gea e gli dei del pantheon maschile, guidati da Zeus arrivati dal nord con gli invasori achei, che si sono fatti largo a spallate nella Grecia arcaica e matriarcale. Ad Olimpia cittadina del Peloponneso occidentale, che ha dato nome alle "Olimpiadi" dove sorgeva il tempio di Gea, più venerato di tutta la Grecia, un paio di millenni prima dell’"era dell’Uomo", pare si sia tenuta una sorta di sacro G20, un super vertice religioso con lo scopo di raggiungere una pacificazione. Da un lato, le diverse manifestazioni della triplice Dea, con i loro riti della fertilità, ed un certo gusto per i sacrifici umani, dall’altro gli dei guerrieri venuti dal nord, che erano usi tenere le donne alla catena, in cielo come in terra. Ma sarà una pace fittizia, la guerra metafisica, non finirà mai, e giunge fino a noi alimentata dal tentativo del nuovo ordine mondiale di uniformare, e quindi annullare ogni diversità di genere.

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