E se Rousseau avesse ragione?

Nel Contratto sociale, Rousseau scriveva che la sovranità è inalienabile, in quanto esercizio della volontà generale, e di conseguenza indivisibile, «perché o la volontà è generale o non è tale». In altre parole, la volontà dell’individuo, espressione diretta della sua libertà, non può essere né alienata né delegata; allo stesso modo deve dirsi della volontà generale, espressione della libertà del popolo e che solo il popolo può dirigere. Solo il popolo, quindi, è depositario del potere sovrano, cioè del potere legislativo, benché possa delegare ad altri l’esecuzione della propria volontà, cioè il potere esecutivo. La divisione dei poteri che costituisce il mantra della democrazia rappresentativa rappresenta, per il filosofo ginevrino, un gioco di prestigio cui si prestano i politici che dopo aver smembrato il corpo sociale ne riuniscono i pezzi non si sa come. Credersi liberi perché si vota in un periodo predeterminato significa tornare schiavi una volta esercitato (o non esercitato) il diritto di voto. La vera democrazia per Rousseau può essere solo diretta ed esprimersi direttamente su ogni legge che vada a impattare sulla comunità. Ora, si suole spiegare ai distratti studenti di filosofia che la tesi rousseauiana è pensata per le piccole comunità svizzere e che sarebbe improponibile nelle odierne società di massa. Intanto, però, Rousseau ci richiama su un assunto fondamentale: delegare la sovranità a soggetti neanche vincolati dal mandato è un surrogato della democrazia, una finzione sulla quale si esercita anche l’attuale costituzione repubblicana che nel primo articolo sancisce sì che la sovranità appartiene al popolo, ma subito corregge la portata dell’affermazione stabilendo che il popolo può esercitarla solo nelle forme e nei limiti stabiliti dalla costituzione stessa. Il che è analogo ad affermare che una persona ha la piena proprietà di un bene, ma può utilizzarlo solo in un certo modo e con determinati limiti; difficile che ci si possa sentire effettivamente proprietari di questo bene. Non solo, le riflessioni di Rousseau ci forniscono un utile strumento interpretativo del presente, in un contesto storico di forte crisi della rappresentanza. Il problema non è nuovo e si è cercato di risolverlo in modi anche interessanti, come la rappresentanza delle categorie produttive, prima, durante e dopo il fascismo. Il problema è che in una società liquida come la nostra le categorie non hanno più una fisionomia chiara e sono decisamente fluttuanti al loro interno. Viene quindi il sospetto che il problema non sia trovare nuove forme di rappresentanza, anche perché nelle nostre società complesse sono troppe le variabili del tessuto connettivo sociale per poter determinare cosa vada rappresentato e come, quanto piuttosto superare l’istituto rappresentativo stesso. In questo tentativo può esserci utile un Rousseau 2.0.


Editoriale

 

Ricostruire l'unità nazionale

di Adriano Tilgher

Siamo alle solite. In Italia siamo troppo occupati ad affrontare temi marginali o impostici da altre nazioni per renderci conto della grave situazione in cui versa la nostra nazione. Purtroppo tutto questo accade perché a nessuno dei cosiddetti politici, né alle istituzioni interessa nulla dell’Italia; basti pensare alla scomparsa in tutte le scuole di ogni ordine e grado della storia, della grande cultura classica ed umanistica, base e fondamento sia del nostro percorso unitario che della nostra profonda identità.

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La Spina nel Fianco

 

L'ethos del cameratismo

1944 il poeta, soldato, (e bisessuale) Robert Graves, (1895 -1985) dà alle stampe il suo romanzo più famoso, "Il vello d'oro”, che parla fra altre cose, della guerra dei sessi nella mitologia Greca (successivamente ereditata dai Romani). Graves dipinge il "litigio" fra Zeus ed Era, più che come una satira sui problemi domestici delle famiglie greche, come un conflitto fra sistemi sociali inconciliabili. Nel descrivere il panteon greco l'autore narra dello scontro fra le divinità femminili dei popoli mediterranei guidate da Madre Gea e gli dei del pantheon maschile, guidati da Zeus arrivati dal nord con gli invasori achei, che si sono fatti largo a spallate nella Grecia arcaica e matriarcale. Ad Olimpia cittadina del Peloponneso occidentale, che ha dato nome alle "Olimpiadi" dove sorgeva il tempio di Gea, più venerato di tutta la Grecia, un paio di millenni prima dell’"era dell’Uomo", pare si sia tenuta una sorta di sacro G20, un super vertice religioso con lo scopo di raggiungere una pacificazione. Da un lato, le diverse manifestazioni della triplice Dea, con i loro riti della fertilità, ed un certo gusto per i sacrifici umani, dall’altro gli dei guerrieri venuti dal nord, che erano usi tenere le donne alla catena, in cielo come in terra. Ma sarà una pace fittizia, la guerra metafisica, non finirà mai, e giunge fino a noi alimentata dal tentativo del nuovo ordine mondiale di uniformare, e quindi annullare ogni diversità di genere.

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