Il fascino indiscreto di ciò che è forte

Nel film “Il senso di Smilla per la neve” l’omicidio di un bambino viene svelato alla protagonista dalla capacità di capire che le orme del piccolo sulla neve erano l’indizio della paura e non di un gioco. L’esperienza di vita, il radicamento profondo nell’ ambiente si erano trasformati in forza, esperienza, profondità. Sussiste e si riaccende nel nostro mondo un senso insopprimibile che diventa fascinazione per tutto ciò che è forte. Innanzitutto in senso materiale, giacché si ammira ed invidia anche la forza fisica, ma si è poi attratti da cose e persone che trasmettono decisione, autorevolezza, per quanto l’epoca inclini al pensiero debole, alla problematicità, al relativismo. Si ha timore di prendere posizione, ma il forte attrae, conquista. Occorre quindi riportarlo alla ribalta per restituirlo alla sua funzione positiva. Solo idee forti veicolate da personalità forti possono trasformare una folla in un popolo e fornirgli un obiettivo comune.

Il Novecento ha cantato l’elogio della debolezza e dell’indecisione. Eugenio Montale in Ossi di Seppia scriveva “non chiederci parole che mondi possa aprirti “e concludeva che un’unica cosa poteva essere detta “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.  Sismografo di un’era fragile, che decenni più tardi Zygmunt Bauman chiamerà società liquida, il poeta era figlio del mondo borghese egemone dal secolo precedente. Donoso Cortés chiamò discutidora quella classe, mercantile e prudente, andata al potere sulle ceneri dell’aristocrazia esausta. Il rito della discussione fine a se stessa ci sembra la cifra più profonda ereditata dalla postmodernità, incapace di idee nuove, nemica delle grandi imprese, rinserrata nella ragione strumentale del dare e dell’avere.

Di qui viene il rifiuto della responsabilità che scarica la coscienza, l’incapacità di affrontare le sfide accettando il rischio della sconfitta. Incapaci di scegliere una direzione, i più preferiscono la stasi, tutt’al più il girotondo vano, simili al criceto nella gabbietta. Adeguarsi è l’attitudine più comoda. E’ invece sospetta la convinzione, in quanto è il prodotto di un pensiero strutturato, quindi forte.

Il pensiero forte prevale perché conferisce senso, il grande nemico del Nulla. La Grecia edificò se stessa come civiltà sulla ricerca del fondamento, ovvero sull’individuazione di un principio che fonda, istituisce, spiega. Lo chiamò arché, origine, scoprendo senza saperlo la filosofia, cioè la sete di conoscenza.

Oggi si nega l’esistenza della verità – un pensiero forte – propendendo per la validità scientifica. Privata di un centro di principi e valori la società precipita nel relativismo, penultima fermata prima della meta nichilista.

L’autorità, provvista di un profondo significato etico (auctoritas è “ciò che aumenta”), è screditata fino a dissolversi o manifestarsi come puro potere. All’uomo di oggi viene fatto ammirare ciò che è instabile, poiché consente alle oligarchie dominanti di mutare e plasmare le menti, far apprezzare come positivo solo ciò che è moda, novità programmaticamente destinata ad una rapida sostituzione. Al contrario, forte è ciò che è stabile, duraturo. Solo ciò che è forte diventa modello vitale, regola da seguire. Il pensiero debole è quindi complice della fragilità collettiva.

Ciò spiega l’ansia ancora confusa, la domanda inespressa che si va formando, di idee forti, energia, personalità capaci di decisione, principi chiari. E’ il segno confortante che i popoli hanno riflessi di vita. Se è vero, come dice Amleto nel celebre dialogo con Orazio, che ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne possa contenere ogni filosofia, dunque è opportuno sfuggire dalle semplificazioni, nondimeno l’uomo ha bisogno di punti di riferimento, di confini netti, di una mappa dell’esistenza che lo accompagni verso il bene. Il colore grigio non si addice all’uomo che vive e veste panni. Ogni pensiero forte è forse carente di sfumature, ma produce senso, offre una direzione, anima ed orienta.

Si intravvede un ritorno, c’è da sperare nella nascita di nuovi eroi, poiché, contro un rancido pensiero di Bertolt Brecht, fortunato è il popolo che possiede degli eroi. O magari semplicemente esempi da imitare, sentieri da seguire.

Ugo Foscolo poté scrivere, al tempo del Romanticismo “a egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti”. Non solo sepolcri, però, ma vite concrete, modelli come hanno saputo essere tanti nostri genitori, capaci di trasmettere il senso dell’esistenza, la forza serena della vita quotidiana, l’amore per le cose ben fatte, la custodia della famiglia, della Patria, l’eredità della fede.

Ciò che è forte lega, connette, tesse nuovi orditi, costruisce. Ciò che è debole frammenta, divide, smarrisce, produce vuoto. Nel Cantar de mìo Cid, l’eroe del poema affronta Alfonso VI, il suo debole re, con parole di pietra: molti mali sono venuti per i re che si assentano.


Editoriale

 

Ricostruire l'unità nazionale

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Siamo alle solite. In Italia siamo troppo occupati ad affrontare temi marginali o impostici da altre nazioni per renderci conto della grave situazione in cui versa la nostra nazione. Purtroppo tutto questo accade perché a nessuno dei cosiddetti politici, né alle istituzioni interessa nulla dell’Italia; basti pensare alla scomparsa in tutte le scuole di ogni ordine e grado della storia, della grande cultura classica ed umanistica, base e fondamento sia del nostro percorso unitario che della nostra profonda identità.

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La Spina nel Fianco

 

L'ethos del cameratismo

1944 il poeta, soldato, (e bisessuale) Robert Graves, (1895 -1985) dà alle stampe il suo romanzo più famoso, "Il vello d'oro”, che parla fra altre cose, della guerra dei sessi nella mitologia Greca (successivamente ereditata dai Romani). Graves dipinge il "litigio" fra Zeus ed Era, più che come una satira sui problemi domestici delle famiglie greche, come un conflitto fra sistemi sociali inconciliabili. Nel descrivere il panteon greco l'autore narra dello scontro fra le divinità femminili dei popoli mediterranei guidate da Madre Gea e gli dei del pantheon maschile, guidati da Zeus arrivati dal nord con gli invasori achei, che si sono fatti largo a spallate nella Grecia arcaica e matriarcale. Ad Olimpia cittadina del Peloponneso occidentale, che ha dato nome alle "Olimpiadi" dove sorgeva il tempio di Gea, più venerato di tutta la Grecia, un paio di millenni prima dell’"era dell’Uomo", pare si sia tenuta una sorta di sacro G20, un super vertice religioso con lo scopo di raggiungere una pacificazione. Da un lato, le diverse manifestazioni della triplice Dea, con i loro riti della fertilità, ed un certo gusto per i sacrifici umani, dall’altro gli dei guerrieri venuti dal nord, che erano usi tenere le donne alla catena, in cielo come in terra. Ma sarà una pace fittizia, la guerra metafisica, non finirà mai, e giunge fino a noi alimentata dal tentativo del nuovo ordine mondiale di uniformare, e quindi annullare ogni diversità di genere.

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