Fiaccole ardenti d'Europa

Ho raccontato di come, trovandomi a Parigi (l’unica occasione avuta), ospite della Sorbona occupata, bandiere rosse alle finestre scritte cubitali sui muri, mi fosse venuto a noia il bla-bla intorno all’ideologia e ai suoi corollari espresso in tutte le tonalità dell’inconcludenza e della imbecillità. Se mi fosse porto l’invito a scendere per le vie del Quartiere Latino a giocare barricate molotov bastoni da una parte e manganelli lacrimogeni scudi ed elmetti dei reparti antisommossa dall’altra, beh, lo confesso, avrei accettato ben volentieri per mantenere l’ardire e l’ardore espresso a Valle Giulia un paio di mesi prima. E, probabilmente, mi sarei perso e avrei perso la visita alla tomba di Robert Brasillach, a me caro. Senza confronto alcuno...

Rendere omaggio a Brasillach – come nel cimitero di Neuilly alla tomba di Drieu la Rochelle e in quello di Meudon dove è sepolto il grande Céline - e non dimenticarsi di Alain Escoffier. Di anni ventisette, sposato con una tedesca rifugiata dalla DDR, impiegato di banca, venerdì 10 febbraio del 1977, in Champs-Elysées, davanti alla sede dell’Aeroflot, durante una manifestazione di protesta contro l’imminente visita di Breznev in Francia, si diede fuoco con due taniche di benzina e al grido “Comunisti assassini!”. Onorare con il suo sacrificio e imitare i giovani di Praga – non solo - che si erano immolati dopo l’invasione del loro paese, agosto ’68.

La Compagnia dell’Anello gli dedicò una emozionante canzone che si concludeva con questi versi: “A Praga muto nella piazza c’è Jàn, sorride sereno, è vivo, è con me – un nome, un cognome per l’Europa perché ora vive un eroe anche in Champs-Elysées – Alain Escoffier! Alain Escoffier!“... Sono stato più volte a Praga, con la scuola, città che preserva il fascino dell’incanto della magia di richiami densi di storia e di letture “esoteriche” (penso, ad esempio, al romanzo Il Golem dello scrittore Gustav Meyrink che lo ambienta tra la sinagoga e il piccolo cimitero ebraico, tappa turistica d’obbligo), nonostante si vada trasformando in una sorta di San Marino in grande come in parte è ormai Toledo. Ho avuto, però, non so se per il caso o la necessità, di conoscere la città boema, quando divenne per breve tempo il cuore di un’Europa che chiedeva d’essere altro rispetto alla logica della spartizione, la logica di Yalta. Agosto ’68, la Primavera di Praga.                                               

Notte del 20 agosto; mattina del giorno successivo, immortalati da tante immagini e scatti fotografici come da racconti e saggi. Lo scrittore boemo M. Kundera ebbe gran successo con L’insostenibile leggerezza dell’essere. Io posso dire soltanto che “io ero lì!”... E con me Riccardo – aveva diciotto anni, il sorriso velato di tristezza quasi fosse presago dello scorrere troppo breve del tempo - che, dieci anni dopo, sarebbe stato suicidato due giorni prima di essere scarcerato quattro giorni prima di testimoniare in mio favore davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro. Così la memoria si lega in piazza San Venceslao, sotto la statua del duca di Boemia, dove una piccola aiuola sempre ricca di fiori rinnova il ricordo del 16 gennaio del ’69 quando lo studente di filosofia, Jàn Palach, si diede fuoco per protesta contro l’invasione del proprio Paese. Jàn Palach, dunque, Alain Escoffier e Riccardo, simili a lanterne nella notte d’Europa a indicarci il cammino e a mantenere viva la fiaccola della fierezza e della speranza.


Editoriale

 

Ricostruire l'unità nazionale

di Adriano Tilgher

Siamo alle solite. In Italia siamo troppo occupati ad affrontare temi marginali o impostici da altre nazioni per renderci conto della grave situazione in cui versa la nostra nazione. Purtroppo tutto questo accade perché a nessuno dei cosiddetti politici, né alle istituzioni interessa nulla dell’Italia; basti pensare alla scomparsa in tutte le scuole di ogni ordine e grado della storia, della grande cultura classica ed umanistica, base e fondamento sia del nostro percorso unitario che della nostra profonda identità.

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La Spina nel Fianco

 

L'ethos del cameratismo

1944 il poeta, soldato, (e bisessuale) Robert Graves, (1895 -1985) dà alle stampe il suo romanzo più famoso, "Il vello d'oro”, che parla fra altre cose, della guerra dei sessi nella mitologia Greca (successivamente ereditata dai Romani). Graves dipinge il "litigio" fra Zeus ed Era, più che come una satira sui problemi domestici delle famiglie greche, come un conflitto fra sistemi sociali inconciliabili. Nel descrivere il panteon greco l'autore narra dello scontro fra le divinità femminili dei popoli mediterranei guidate da Madre Gea e gli dei del pantheon maschile, guidati da Zeus arrivati dal nord con gli invasori achei, che si sono fatti largo a spallate nella Grecia arcaica e matriarcale. Ad Olimpia cittadina del Peloponneso occidentale, che ha dato nome alle "Olimpiadi" dove sorgeva il tempio di Gea, più venerato di tutta la Grecia, un paio di millenni prima dell’"era dell’Uomo", pare si sia tenuta una sorta di sacro G20, un super vertice religioso con lo scopo di raggiungere una pacificazione. Da un lato, le diverse manifestazioni della triplice Dea, con i loro riti della fertilità, ed un certo gusto per i sacrifici umani, dall’altro gli dei guerrieri venuti dal nord, che erano usi tenere le donne alla catena, in cielo come in terra. Ma sarà una pace fittizia, la guerra metafisica, non finirà mai, e giunge fino a noi alimentata dal tentativo del nuovo ordine mondiale di uniformare, e quindi annullare ogni diversità di genere.

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