L’inverno della democrazia: le forme della modernità

Da quando la democrazia non si è più fondata sull’eguaglianza dei beneficiari dei diritti giuridici e politici, ha finito per identificarsi con lo stato assistenziale, con i diritti dei lavoratori ai quali si dispensavano aiuti sul piano materiale per compensare la diseguaglianza reale. Il “problema” è che lo stato assistenziale non è democratico: in Francia nasce con la dittatura di Napoleone III, in Germania con Bismarck e Hitler, in Italia con il fascismo. Al contrario, può essere assolutamente democratica la repressione: come poterono constatare per primi i comunardi in Francia o gli affamati dalla tassa del macinato in Italia che ebbero non brioche in cambio di pane, ma piombo. E come continuiamo a constatare oggi, quando le più ampie proclamazioni di democrazia convivono con le leggi liberticide che pretendono di entrare anche nelle scelte personali dell’abbigliamento e degli atteggiamenti, come nei “migliori” regimi totalitari. Persino l’eugenetica può essere democratica: tra i primi teorici moderni vi fu l’illuminista Condorcet, mentre ancora alla fine del XIX secolo era di casa in Scandinavia, Gran Bretagna oltre che in Canada e negli Usa, dove si definirono persino i caratteri dell’inferiorità genetica: QI basso, impulsività, disadattamento sociale, indolenza e persino la masturbazione compulsiva, tanto che in vari ospedali si praticava la vasectomia. Nello stato dell’Indiana, nel 1907, venne promulgata una legge che decretava la sterilizzazione dei “criminali, idioti, violentatori e imbecilli”. Altri trenta Stati lo imitarono, prima che l’idea arrivasse anche in Svizzera, Svezia e soltanto buona ultima nella Germania nazionalsocialista. Del resto, il colonialismo nasce fin da subito democratico: facile l’esempio del Congo di Leopoldo II e poi dal 1909 del Belgio, dove, come racconta Conan Doyle in Cuore di tenebra, venne ripristinata la schiavitù e dove gli indigeni che non fornivano la quantità prevista di caucciù subivano il taglio delle mani, mentre le teste tagliate erano piantate sui pali che delimitavano la residenza dell’amministratore europeo. A questo quadro non apportò nulla il voto delle donne che si limitò ad ampliare la platea degli aventi diritto al voto, ma non intaccò minimamente, anzi, la distanza immensa tra un ristrettissimo gruppo di professionisti che detengono le leve del comando a titolo permanente e un’enorme massa chiamata periodicamente ad eleggerli: più o meno convintamente e comunque con sempre minore partecipazione, tranne nei Paesi in cui il voto obbligatorio se si vogliono evitare sanzioni. Recarsi alle urne è necessario alla legittimazione dello status quo e non hanno mai lo scopo di mutarlo.


Editoriale

 

I diritti civili

di Adriano Tilgher

Si fa un gran parlare, in questi tempi, di diritti civili e la mia sensazione è che pochi fra quelli che ne parlano sappiano esattamente cosa siano questi diritti civili, che sul piano della sinistra hanno letteralmente soppiantato i diritti sociali che sono scomparsi dal dibattito politico, nonostante siano totalmente sotto attacco. Guardo raramente e con difficoltà i dibattiti televisivi perché sento solamente banalità per lo più insulse, prive di riscontri reali e soprattutto completamente estranei alla realtà e alla gravità dei problemi che stiamo affrontando come Italiani.

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La Spina nel Fianco

 

Professor Odal

5 marzo 1965, muore al Cairo, Omar Amin, militare, politico, filosofo ed esoterista tedesco naturalizzato egiziano, amico di Renè Guenon e di Savriti Devi. Omar Amin, nasce in Germania a Karbow-Vietlübbe, un piccolo comune del Meclemburgo-Pomerania, il 25 gennaio 1902, con il nome di Johann Jakob von Leers. Studiò nelle università di Kiel, Berlino e Rostock, laureandosi in giurisprudenza. Si dedicò soprattutto a studi storici e linguistici, come la slavistica. Divenne un poliglotta, imparò italiano, russo polacco, ungherese arabo e giapponese; scriveva correntemente in latino, ma anche nello yiddish degli ebrei aschenaziti dell'Est Europa. Ernst Jünger (1895-1998) lo definì “un genio linguistico”. Nel mondo intellettuale tedesco von Leers era noto con l'appellativo, "professor", il professore,  anche in virtù della cattedra universitaria presso l'università di Jena.

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