Eretici compagni di strada

In una delle sue ultime lettere, prima di inforestarsi in qualsiasi parte del mondo ove il crepitio della mitragliatrice trascina uomini contro, Ernesto Guevara, noto come il Che per l’intercalare tipico dell’argentino, si descrive novello Don Chisciotte che è, di nuovo, montato su Ronzinante. Poi, illudendosi di generare uno dei dieci cento mille fuochi di guerriglia, andrà a farsi ammazzare – sorta di suicidio rituale – nella selva boliviana, ottobre 1967. Un Don Chisciotte moderno, vittima dell’inganno marxista e di un’idea di rivoluzione incerta e confusa. Bello e inutile il gesto.                                     

‘Gli eroi sono tutti giovani e belli’, cantava Francesco Guccini ne La locomotiva. Così il ‘suo’ ferroviere andava immolandosi, vano sacrificio, sulla macchina a vapore. E la mente corre ai Greci – tutto il resto altro non è che pensiero sciatto e rimestato -, al tragico Menandro ‘muor giovane colui che al cielo è caro’... Eppure il romanticismo (‘fascista’, per dirla con Paul Sérant), inteso come sentimento, permane e pervade gli occhi e la mente a vincere il tempo la logica ogni altro intento. (Cervantes intendeva far dell’ironia, scimmiottare il poema cavalleresco – e lo dice espressamente – con il malandato spiritato esaltato Signore della Mancia, ma ‘noi’ ne abbiamo colto e reso nostro quale cavaliere del sogno e dell’ideale. Magari indossando la camicia nera e impugnando l’anacronistico modello ’91 contro l’acciaio e l’oro).                                 

Così non ci turbiamo a rammemorare se un tempo, nella stanza della nostra inquieta e irriverente giovinezza, il poster raffigurante il volto febbricitante del Che nella foto celebre del Korda si accompagnasse a quello de La battaglia di Valle Giulia (libidine il dire ancora, dopo cinquant’anni, ‘io c’ero!’) al sorriso del poeta Robert Brasillach, i cui versi ‘struggenti e rasserenanti’ furono lavacro purificatore negli anni di Regina Coeli. E con loro Don Chisciotte disarcionato da cavallo col tratto folle e iconoclasta dell’amico Emanuele così la riproduzione de Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo del pittore Albrecht Duerer, inizio del XV secolo.

Lo Stile non coltiva confini, non si abbandona a padroni.  Altre le idee per cui è bello donarsi e per cui battersi, l’un contro l’altro armati. Per questione di buongusto – se il termine ‘stile’ può apparirvi troppo roboante – abbiamo scelto d’essere contro, di schierarci dalla ‘parte sbagliata’, faccia al sole e in culo al mondo, con i nostri miti e i nostri eroi. Eretici alcuni.                


Editoriale

 

Possiamo farlo

di Adriano Tilgher

La situazione sta evolvendo in segno positivo. Se osserviamo con attenzione le cose che accadono attorno a noi, ci rendiamo conto di quanto sia falsa, inutile e depistante la presunta realtà che ci raccontano i media tutti (o quasi) e quanto si stia risvegliando il popolo italiano. Basta un po’ di spirito di osservazione. Iniziano ad essere tante le persone che si sentono in dovere di esprimere il proprio dissenso, a dare la giusta lettura degli eventi, a parlare con linguaggi che sembravano spenti, perduti. Strani simbolismi appaiono anche dalle stanze ufficiali. Cosa fino a ieri impensabile. Qualcosa sta cambiando.

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La Spina nel Fianco

 

Comandante

13 dicembre 1942, il motopeschereccio armato “Cefalo”, di stanza presso la base di "La Galite” in Tunisia, di ritorno da una incursione nel porto di “Bona”, in Algeria, viene attaccato da uno Spitfire inglese, Durante il mitragliamento, vengono colpiti a morte numerosi membri dell'equipaggio, fra cui in comandante. Qui finisce la vita terrena di Salvatore Todaro, pluridecorato Comandante della nostra marina Militare.

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