Jüngeriana [10]

La nuova Gestalt sposa la vita con il pericolo e l’Operaio ha in essa il compito decisivo, che consiste nella nuova libertà, espressione della necessità di cui l’Operaio è capace, perché il sentimento della libertà nasce dove c’è attività, operante ed efficace trasformazione del mondo: cioè dove c’è il lavoro. Se è nuova la libertà è nuovo anche il lavoro, che va inteso come ritmo della mano operosa, dei pensieri, del cuore; è vita diurna e notturna, è scienza, amore, arte, fede: nella forma dell’Arbeiter l’aspirazione alla libertà è possibile solo come aspirazione al lavoro. Il che significa nuova gerarchia di gradi: «Là dove, in mezzo alle estreme privazioni, cresce la sensibilità per i grandi compiti della vita … si preparano cose straordinarie».

Tutti gli sconvolgimenti del mondo rimandano a una futura nuova forma di potere che non sarà la conquista dello Stato da parte del movimento dei lavoratori - che nella lettura jüngeriana non è altro che un rafforzamento dell’ordine borghese - ma un nuovo “linguaggio” del comando, che non fa promesse, ma avanza pretese: «La più profonda felicità dell’uomo è nell’essere sacrificato, e la suprema arte del comando consiste nell’additare fini che siano degni del sacrificio». Una felicità e un’arte ben lontane dalla vita borghese che, da parte sua, è femminilmente caratterizzata dalla volontà di ricomprendere, di assorbire ogni elemento opposto, in modo da corromperlo. Così il marxismo, figlio degenere ma legittimo della società borghese, inquadra il problema dell’operaio all’interno di quella società che, a parole, dichiara di voler combattere. Per Jünger, invece, la funzione palingenetica dell’Operaio può realizzarsi solo se con la società borghese si avverte non l’opposizione, ma una totale diversità che lo spinga non a chiedere di diventare borghese, ma di incarnare un nuovo Stato.

La lunga vita consentì allo scrittore tedesco di ascoltare tanto le note preveggenti della sua analisi, quanto le smentite che la realtà gli dichiarava ad alta voce. Il suo pregio fu quello di ascoltare e individuare nella sua fenomenologia nuove figure, più aderenti alla realtà, più capaci di mostrarne le articolazioni dello sviluppo e, in definitiva, capaci di indicare nuovi sentieri di percorrenza della vita umana nell’età delle macchine e del grande Leviatano.


Editoriale

 

I diritti civili

di Adriano Tilgher

Si fa un gran parlare, in questi tempi, di diritti civili e la mia sensazione è che pochi fra quelli che ne parlano sappiano esattamente cosa siano questi diritti civili, che sul piano della sinistra hanno letteralmente soppiantato i diritti sociali che sono scomparsi dal dibattito politico, nonostante siano totalmente sotto attacco. Guardo raramente e con difficoltà i dibattiti televisivi perché sento solamente banalità per lo più insulse, prive di riscontri reali e soprattutto completamente estranei alla realtà e alla gravità dei problemi che stiamo affrontando come Italiani.

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La Spina nel Fianco

 

Professor Odal

5 marzo 1965, muore al Cairo, Omar Amin, militare, politico, filosofo ed esoterista tedesco naturalizzato egiziano, amico di Renè Guenon e di Savriti Devi. Omar Amin, nasce in Germania a Karbow-Vietlübbe, un piccolo comune del Meclemburgo-Pomerania, il 25 gennaio 1902, con il nome di Johann Jakob von Leers. Studiò nelle università di Kiel, Berlino e Rostock, laureandosi in giurisprudenza. Si dedicò soprattutto a studi storici e linguistici, come la slavistica. Divenne un poliglotta, imparò italiano, russo polacco, ungherese arabo e giapponese; scriveva correntemente in latino, ma anche nello yiddish degli ebrei aschenaziti dell'Est Europa. Ernst Jünger (1895-1998) lo definì “un genio linguistico”. Nel mondo intellettuale tedesco von Leers era noto con l'appellativo, "professor", il professore,  anche in virtù della cattedra universitaria presso l'università di Jena.

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